Pur essendo odiati dai giocatori di tutto il mondo, esistono cliché che saranno sempre ripetuti in quasi tutti i videogiochi. Che lo facciano volontariamente?
Parlando con tutti i gamers che conosciamo abbiamo stilato una lista delle cose che più hanno odiato nei loro videogames preferiti. Questa classifica non serve (solo) a indicare ciò che è più o meno odiato, ma si spera possa servire a far riflettere tutti i programmatori che la leggeranno.
Oltre a sperare di strappare qualche risata.
ATTENZIONE: Nessun videogiocatore è stato maltrattato durante la realizzazione di questo articolo.
Le censure nei videogiochi
Come successo ad altri prodotti pensati per il grande pubblico, anche i videogiochi sono stati fin troppo spesso al centro di critiche e controversie. Ciò ha spesso portato ad avere restrizioni, limitazioni o modifiche sull’opera videoludica, mirata a non urtare la sensibilità di nessuno.
Nella versione occidentale di molti giochi provenienti dai paesi del Sol Levante (come Xenoblade Chronicle X) è stata rimossa la possibilità di scegliere la taglia del seno dell’avatar femminile che abbiamo la possibilità di creare. Quasi come a indicare una discriminazione verso determinate taglie di seno.
Come per le forme femminili o le forme falliche, sono spesso mitigate anche le scene di violenza, i riferimenti religiosi e ogni possibile accenno a fatti realmente accaduti. Per tutelare soprattutto i più giovani.
Il vero problema è che per tutelare i giovani esistono i PEGI: Pan European Game Information è il metodo di classificazione valido su quasi tutto il territorio europeo, usato per classificare i videogiochi attraverso cinque categorie di età e otto descrizioni di contenuto.
Quei simbolini e numerini sulle confezioni dei giochi indicano l’età minima per giocarlo e gli eventuali contenuti sensibili tipo violenza, droga o riferimenti sessuali. In realtà gli unici a essere “disturbati” dai contenuti sono gli adulti che richiedono i tagli più assurdi.
Come successo con i nuovi giochi di Wolfenstein (che dovete assolutamente giocare): in Germania sono state rimosse tutte le svastiche, i riferimenti alla nazione di provenienza di determinati personaggi, e addirittura i baffi ad Hitler!
Pare che i baffi del Fuhrer di Wolfenstein siano finiti sull’ultimo modello delle Puma. Ma questa è un’altra storia.
Missioni di scorta
Esistono giochi che fanno della varietà delle missioni il loro punto di forza, ma capita fin troppo spesso di imbatterci in delle vere e proprie rotture di scatole: le scorte.
In cosa consistono? Semplice, dovremmo condurre una persona (in genere fastidiosissima) da un punto A a un punto B, per un lungo percorso che varia dalla noia più totale alla follia più assoluta.
Questi percorsi possono essere lunghissime strade che ci fanno solo perdere tempo, oppure veri e propri campi di battaglia pericolosissimi.
Prendiamo in esempio Resident Evil 4 – l’intero titolo è una lunghissima missione di scorta.
Per tutto il tempo dovremo proteggere Ashley, la figlia del Presidente degli Stati Uniti rapita da una setta malvagia, che non farà altro che urlare “LEON!” ogni tre per due.
Non so voi, ma per tutti i giocatori a cui abbiamo chiesto, dover proteggere quella ragazzina dalla vocina stridula è risultato deleterio per il sistema nervoso.
Tutorial lunghi e obbligatori
Alcuni giochi “offrono” tutorial troppo lunghi ed estenuanti. Come nel caso di Red Dead Redemption 2 che ci introduce in un tutorial di quasi cinque ore, per spiegarci ogni singola meccanica che potremmo sfruttare nel corso del gioco. E in questo caso sarebbe anche accettabile.
Il problema è che esistono dei giochi che ci costringono a passare ore e ore in tutorial che ci “insegnano” sempre le solite meccaniche già trite e ritrite: muovi la levetta sinistra per camminare, la levetta destra per guardarti attorno, premi A per interagire con i PNG. E via discorrendo, senza la possibilità di saltarlo.
Esistono giochi che il tutorial non te lo fanno neanche fare, come Dark Souls, e altri in cui non sono presi proprio in considerazione, come Cuphead.
Cuphead è “l’esempio” di come dovrebbe essere fatto un tutorial: rapido, veloce, intuitivo. Ma nessuno sembra farci caso.
Pay to win and play
Pagare per vincere? Oggi si può. Il piacere di videogiocare per ottenere risultati meritati è ormai obsoleto e bypassabile, con qualche piccolo investimento.
Fin dall’alba dei tempi i giochi pay to win sembravano confinati al mondo del mobile, ma da un po’ di anni a questa parte sono approdati su console e PC.
Una pratica davvero odiosa per qualcuno e abusata da qualcun altro, che toglie il divertimento a chi vuole giocare liberamente senza dover pagare per poter raggiungere un livello superiore.
Ancor peggio però è l’esempio di giochi che costringono il giocatore ad avere frammenti di trama acquistabili. In Final Fantasy XV per avere una visione completa della storia che stiamo giocando, siamo costretti ad acquistare tutti i contenuti scaricabili. In Asura’s Wrath è ancora peggio: il finale del gioco è solo acquistabile dallo shop.
Non era bello quando si comprava un gioco ed era completo?
I livelli sott’acqua
Non tutti sono d’accordo con i punti sopracitati, ma tra tutti i videogiocatori c’è una sola cosa che mette tutti d’accordo: i livelli subacquei.
Nuotare è una bellissima attività della vita reale, ma diventa un supplizio quando lo si deve effettuare nei videogames. Tutto diventa lento, scuro, ingestibile e abbiamo di solito poco tempo a disposizione prima che il nostro personaggio muoia affogato.
Il mondo dei videogiochi ha fatto passi da gigante (almeno in alcuni titoli) nella fisica e nel realismo, ma il nuoto è quel qualcosa che sembra non essere stato colpito da questa evoluzione.
Non so voi, ma quando il mio personaggio deve per forza tuffarsi in un fiume, lago o pozza d’acqua per andare avanti nel gioco mi sale la fobia del nuoto.
Quando bisogna cercare collezionabili in acqua li lascio lì, ma spesso siamo costretti a giocare interi livelli sottomarini per poter proseguire nella storia. Personalmente questa è la prima cosa da abolire se qualcuno del mondo videoludico prendesse sul serio questo articolo.
Cari programmatori, se abbiamo voglia di nuotare andiamo al mare o in piscina. Non costringete il nostro soldato o cavaliere a tuffarsi in acqua con corazze ed armi per una nuotatina che “annacqua” il titolo.