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Nolan: 5 blockbuster d’autore

Oscar 2024

Quando si Parla di Christopher Nolan si rischia sempre di litigare e chiudere amicizie decennali. Cerco sempre di essere oggettiva e conciliante e guardare alle cose a trecentosessanta gradi. Oggi sarò meno accondiscendente e vi dirò, attraverso alcuni dei suoi film, perché Nolan ha meritato quell’Oscar e ogni sua pellicola è una perla che tutti possono comprendere. Ci vuole solo un pizzico di pazienza, l’arma più potente che uno spettatore possa avere.

Solitamente passo in rassegna la biografia dei registi che tratto e quei film che li hanno portati al successo, per darvi il quadro della situazione (o almeno provarci) e fornirvi già motivazioni sottese alle mie scelte. Questa volta comincerò direttamente con i film più belli, o discussi, del regista e inserirò le sinossi in una specie di diario personale, per raccontarvi come li ho scoperti negli anni e come sia diventata una “nolaniana.

Oggi Nolan ha all’attivo dodici pellicole, ma parlare di tutte significherebbe redigere una tesi, quindi ho selezionato, non senza fatica, cinque fra i suoi migliori film (prima che ne faccia uscire un altro) con cui proverò a spiegarvi perché meritano il plauso di tutti. Cercherò di tracciare una parabola che segua l’evoluzione del regista nei suoi temi principali, uno fra tutti il particolare rapporto con il tempo.

 

Foto di Nolan
Christopher Nolan

 

L’articolo non contiene spoiler e, soprattutto, non analizza la trilogia del Cavaliere Oscuro. A un certo punto, parlandone, mi sono accorta di aver scritto un articolo dentro un articolo, quindi ho deciso di declinare ogni riferimento a Batman in un articolo a sé che arriverà prossimamente. Sono molto legata alla trilogia, al regista, al personaggio e ho pensato di dedicargli lo spazio che si meritano.

Prima di cominciare, ci tengo a precisare che l’epiteto nolaniana mi è stato dato, con un pizzico di disprezzo, durante una recente discussione sul regista. La critica più frequente che ho sentito muovere nei confronti suoi e dei film che ha scritto e diretto è la poca comprensione degli stessi per quella costante di dire cose semplici in modo complicatissimo. Non sono d’accordo, anzi, lo sono in parte.

Se avete letto i miei ultimi articoli (soprattutto quello su Furiosa: a Mad Max Saga), sapete benissimo cosa penso della direzione che il pubblico medio ha deciso di percorrere: non incolpo nessuno, come dico spesso, anche io sono una spettatrice media, ma ho come l’impressione che la gente non voglia più sforzarsi di capire. Bene, il presupposto per godersi Nolan è proprio la concentrazione e la predisposizione a ricostruire le storie come fossero dei puzzle e delle scatole cinesi con cui giocare.

Ogni regista ha la sua firma e quella di Nolan è questa, oltre che una buona dose di virtuosismo registico. Trame arzigogolate che nascondono messaggi semplici e banali accompagnate da scene action ed esplosioni esagerate? Sì, il cinema deve anche impressionare e Nolan sa come farlo, tanto che oggi può essere definito il miglior sceneggiatore di scene d’azione nel panorama hollywoodiano. Con questa piccola premessa, possiamo cominciare a parlare dei film di Nolan che vale la pena di vedere e approfondire.

 

Memento

Caro diario, non ricordo esattamente quando mi sono innamorata di Christopher Nolan, ma credo fosse il 2000, quando la me quattordicenne del passato ha visto Memento. Che strano film, ma perfettamente nelle mie corde, intricato come pochi. Da lì ho cominciato a seguire un genio che, finalmente, è riuscito vincere un meritatissimo Oscar per l’ultima pellicola. So che sugli Oscar si è sempre molto critici perché, politicizzati, premiano seguendo criteri dubbi, ma è sempre una grande soddisfazione veder trionfare uno dei propri registi preferiti.

 

La sinossi

Leonard Shelby (Guy Pearce) inizia a soffrire di amnesia anterograda dopo l’attacco da parte di alcuni uomini che hanno violentato e ucciso sua moglie Catherine (Jorja Fox). Non riuscendo a immagazzinare i ricordi a lungo termine, è costretto a segnare le informazioni su post-it e sulla sua pelle ricoperta di tatuaggi, che riportano nomi e dettagli in merito a qualcosa che deve fare: uccidere un tale di nome John G. o James G.

Nella missione è aiutato da Teddy (Joe Pantoliano) e Natalie (Carrie-Anne Moss), individui che non conosce perché la sua amnesia gli impedisce di ricordare anche i volti delle persone, motivo per cui colleziona polaroid con impressioni e annotazioni estemporanee sulla gente che incontra. Durante la ricerca della verità, Leonard scoprirà di essere stato coinvolto in uno scambio tra spacciatori legati a Natalie, e i suoi problemi legati alla memoria lo renderanno un bersaglio facile.

Il tatuaggio che reca la scritta “L’ho fatto” permette a Leonard di ricostruire gli eventi dell’ultimo anno che si aggrovigliano in un loop temporale continuo in cui dimenticare, ricordare, annotare, dimenticare e ricominciare ancora fino alla soluzione del caso.

 

Memento

 

Ricordati che…

Memento del 2000 nasce da un racconto di Jonathan Nolan, Memento mori, il cui spunto affonda le radici nella realtà. Quando era studente alla University College London, tornando al suo appartamento a Camden dopo una serata trascorsa al pub, Christopher Nolan vide una coppia litigare dall’altra parte della strada e, piano piano, la discussione degenerò in spinte e strattoni. Purtroppo la paura lo immobilizzò e gli impedì di intervenire, ma qualcun altro arrivò a separare il ragazzo che inveiva contro la sua fidanzata.

Tornato a casa, Christopher raccontò tutto nei minimi dettagli al fratello che gli disse di essere stato lì con lui per tutto il tempo e non si spiegava perché il Chris non se ne rendesse conto. Nolan avrebbe giurato fosse da solo e, ancora, oggi, non saprebbe dare una spiegazione all’accaduto “[···] because the truth is, our memories don’t work the way we think they work”, i ricordi nella nostra mente non funzionano come crediamo. Ne conseguì la stesura del racconto da parte del fratello Jonathan e la sceneggiatura del film da parte di Christopher.

Il regista vuole raccontare una storia semplice in un modo articolato e complesso, procedendo al contrario. Leonard Shelby non riesce a conservare i ricordi per oltre quindici minuti e, a partire da una pistola e una polaroid, deve tornare indietro nel tempo un quarto d’ora alla volta fino a riavvolgere il nastro, giungere all’inizio della vicenda e comprendere cosa gli sia accaduto.

In questo film che comincia dalla fine, lo spettatore è disorientato tanto quanto il protagonista e deve ragionare e ricordare con lui, vivendo l’angoscia dello spaesamento e provando il turbamento di chi, persa la memoria a breve termine, deve sperimentare i modi più disparati per ancorarsi ai ricordi.

 

 

Guy Pearce nei panni di Leonard Shelby

 

“La mia soluzione per raccontare questa storia attraverso una prospettiva soggettiva era quella di negare al pubblico le stesse informazioni che sono negate al personaggio. E il mio modo per farlo è stato raccontare la storia al contrario. La prima volta che vediamo il personaggio non sappiamo, proprio come il protagonista, come ha incontrato quella persona prima o chi è quella persona, se si deve fidare o meno. La storia, quindi, è raccontata al contrario, con una serie di flashback che vanno sempre più indietro nel tempo.”

 

Memento si muove su binari paralleli sui quali viaggiano il bianco, il nero e i colori (ventidue sequenze in b/n, ventidue a colori del tutto speculari), l’oggettività e il soggettivismo (dietro cui si celano fiction e autoinganno), la voce interiore del protagonista e una più fredda che si pone domande su cosa stia accadendo. Nel finale, il dualismo si assottiglia sempre di più fino a scomparire e fondersi nella verità e nel ribaltamento dei ruoli.

Nolan dirige un film che cala lo spettatore nei panni del protagonista in una dimensione il più reale possibile, fino a che non è in grado di straniarsi e iniziare a mettere assieme i tanti pezzi del puzzle che Shelby dissemina lungo tutta la ricostruzione del caso. Il punto di forza del film, infatti, sta nel far rivivere la distorsione dell’io e del tempo esattamente come la vive il protagonista. Realismo. La parola chiave della cinematografia del regista inglese che affinerà sempre più le modalità per ritagliare il vero su pellicola.

Ad attuare meglio il tutto, il fatto che i fratelli Nolan abbiano preso spunto da casi clinici di persone affette dalla sindrome di Korsakoff, per cui chi ne è affetto subisce la perdita della memoria recente e dimentica tutto ciò che gli è accaduto a distanza di pochi minuti.

In particolare, i due si sono rifatti a un racconto del neuropsichiatra e scrittore britannico Oliver Sacks (L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello, 1985) che descrive il suo paziente come in un continuo stato confusionale, disorientato e svuotato, quasi da apparire privo dell’anima. Nell’individuo in questione “sono frequenti infatti alterazioni dell’emotività come apatia, tristezza o lieve euforia con scarsa empatia con gli eventi, persino nei confronti di quelli paurosi“.

 

Timeline del film

 

Insomnia

Ricordo Insomnia con particolare affezione, quando ancora Mediaset programmava film di un certo livello e noi, troppo giovani, non lo sapevamo. A volte mi chiedo se sia davvero cambiata la televisione nel corso degli anni, fagocitata dalle piattaforme streaming, o siamo cambiati noi e abbiamo sostituito il vecchio zapping con lo sfogliare cataloghi per ore e ore alla ricerca del film perfetto…   ma questo è un altro discorso che c’entra poco con il film meno considerato di Nolan, uno di quei gialli che soddisfa ogni tipo di spettatore.

 

La sinossi

Will Dormer (Al Pacino) è un detective di Los Angeles chiamato a investigare sull’omicidio della diciassettenne Key Connell (Crystal Lowe), morta in circostanza misteriose in una cittadina dell’Alaska dove il sole non tramonta mai. L’ansia per le indagini e le condizioni del posto porteranno Dormer ad alterare il proprio ciclo di sonno e veglia.

A complicare ulteriormente la situazione, il detective avrà gravi problemi con il suo collega Hap Eckhart (Martin Donovan) e insabbierà tutto incolpando l’ambiguo scrittore Walter Finch (Robin Williams). Questi, a conoscenza di tutto e con prove tangibili alla mano, comincerà a ricattare Dormer, che si troverà stretto tra la morse dei sensi di colpa per quanto commesso e la trappola nella quale Finch lo spinge pian piano.

Ad aiutare Dormer nelle indagini, subentra l’ufficiale Ellie Burr (Hilary Swank) che nutre profondo rispetto per il collega più anziano ed è entrata in polizia studiandone i casi. La giovane non sa che sia Dormer che Eckhart erano indagati per aver incriminato un uomo violento per omicidio con prove false. Sarà proprio Burr a scoprire la verità e risolvere il caso della Connell, dietro il consiglio di Dormer di “non smarrire la strada“.

 

Insomnia

 

Sospesi nel tempo

Insomnia del 2002 è uno di quei film di cui, purtroppo, ci si dimentica, probabilmente perché è stato poco chiaro l’intento del regista. Si tratta del remake di un omonimo film norvegese, diretto da Erik Skjoldbjærg e interpretato da Stellan Skarsgård, che Nolan personalizza con quelle sfumature che gli sono più congeniali. La pellicola si adatta al grande pubblico perché è un giallo che ruota attorno alla risoluzione di una caso di omicidio, ma in realtà nasconde l’indagine psicologica di chi quelle ricerche le conduce e lotta con i demoni nascosti nel profondo della sua coscienza.

Passato in sordina, è un ottimo thriller che, solo in apparenza, sembra non portare la firma di chi lo ha diretto. Se partiamo dall’assunto che Nolan, in ogni sua pellicola, debba stravolgere a modo suo la canonica concezione di tempo, è ovvio che Insomnia si distacchi da tutto ciò. Il regista infatti ne recupera la linearità, frammentata in Memento, per concentrarsi sull’aspetto più psicologico dei suoi interpreti, il detective Al Pacino e la sua ambigua nemesi Robin Williams, qui alle prese con omicidi e ricatti.

Per la prima volta Christopher Nolan si è trovato a lavorare con attori premi Oscar, che gli hanno insegnato molto sul cinema. Come raccontato nel libro di Tom Shone, The Nolan variations – The movies, mysteries and marvels of Christopher Nolan, il regista e il cast provavano una scena la sera prima per girare il mattino seguente e Nolan restava sempre stupito da quanto Al Pacino sapesse intuitivamente dove fosse posizionata la cinepresa e con quale angolazione e, soprattutto, da quanto poco gli bastasse per comunicare ciò che il suo personaggio stava pensando.

 

Una scena del film

 

A un’attenta analisi il concetto del tempo ritorna eccome, ma sotto una forma differente. Nella pellicola è bloccato nel presente, sospeso nel limbo che porta con sé l’insonnia. A rendere concreta l’idea le ambientazioni che Nolan ha scelto, l’Alaska e la Columbia Britannica, dove il sole non tramonta mai e spesso cala una fitta nebbia di lynchiana memoria. Saranno queste particolari condizioni a innescare l’azione e portare il protagonista a non dormire più.

La sua coscienza e la sua stabilità mentale saranno logorate e minate alle fondamenta, mentre si farà spazio sgomitando il villain, un inaspettato, quanto bravissimo, Robin Williams. Nolan ha scelto il compianto attore per metterlo alla prova in un ruolo diverso da quelli che aveva sempre interpretato, sdoganandolo dalla commedia. Lo stesso anno sarà chiamato dal regista statunitense Mark Romanek a recitare in One our photo, dimostrando, ancora una volta, grandi doti attoriali in ruoli drammatici, e ricevendo il Saturn Award per il miglior attore.

Scandagliando la coscienza dell’uomo in crisi e gli effetti dell’insonnia che altera la percezione della realtà, il film fa da raccordo tra Memento e quello che verrà dopo, l’indagine nella psiche di Bruce Wayne per il suo personalissimo Batman; Insomnia non è un film strano o poco nolaniano (motivo per cui molti non lo riconducono a lui), ma è un film diverso che fa parte di un progetto che, solo con la sua filmografia in mano, appare chiaro.

Inoltre la pellicola si dimostra un ottimo banco di prova per sperimentare il dualismo tra protagonista e antagonista, che sarà sviluppato, ancora, nella trilogia del Cavaliere Oscuro e caratterizzerà i successivi film dove bene e male si troveranno faccia a faccia delineando confini spesso troppo labili e sfumati.

 

Al Pacino

 

Interstellar

Quando ho visto Interstellar la prima volta al cinema, ricordo di essere uscita dalla sala frastornata e completamente alienata. Ero con amici e avevamo deciso di andare a bere qualcosa dopo la proiezione per discuterne. Ricordo di non aver detto una parola per ore (succede sempre così quando un film mi colpisce, in un modo o nell’altro). Qualcosa non tornava perché non mi aveva entusiasmato e sentivo la necessità di rivederlo. Alla seconda visione, ho pianto come non mai e mi sono innamorata del film più caldo di Nolan, tanto da essere diventato il mio preferito assieme a un altro di cui parlerò più avanti.

 

La sinossi

In un futuro non molto lontano la Terra versa in condizioni critiche a causa di una grave carestia causata dalla peronospora, un fungo che attacca diverse tipologie di coltivazioni. Nonostante la ricerca scientifica abbia subito una battuta d’arresto, la NASA lavora in gran segreto per cercare un nuovo pianeta abitabile dal genere umano. L’ex-astronauta Joseph Cooper (Matthew McConaughey) tornerà nello spazio per indagare un cunicolo spazio-temporale apparso nei pressi di Saturno tempo addietro.

A bordo della nave spaziale Endurance, Cooper e il suo equipaggio atterrano su un pianeta di un’altra galassia dove, a causa di uno slittamento temporale dovuto alla prossimità del buco nero, ogni ora trascorsa equivale a sette anni sulla Terra. In questo modo, quando Cooper cerca di contattare la base scopre che la figlia Murphy, dodicenne al momento della partenza (Mackanzie Fox), ha ora la sua età (Jessica Chastain) e lavora per la NASA al progetto sui campi gravitazionali assieme al professor Brand (Michael Caine).

Deciso a tornare sulla Terra in seguito a un incidente che ha causato la morte di un membro dell’equipaggio, Cooper e Amelia (Anne Hathaway), scienziata e figlia di Brand, scopriranno dei retroscena drammatici che renderanno difficile ogni operazione. Nel frattempo, sulla Terra sono trascorsi molti anni e Murph, tornata nella sua vecchia casa, indaga su quello che chiamava il “fantasma della libreria” che cercava di comunicare con lei tramite uno strano tremolio di libri che scoprirà essere codice Morse…

 

Matthew McConaughey e Mackenzie Foy

 

Risucchiati dai buchi neri

Osannato da tutti, criticato da molti, Interstellar del 2014 è il film più divisivo del regista britannico. Il pubblico lo ha definito estremamente pretenzioso nella narrazione, la critica lo ha considerato il miglior film di fantascienza dopo 2001: Odissea nello spazio (1968) di Stanley Kubrick, vari scienziati lo hanno demolito per le insensatezze raccontate.

Le maggiori critiche sono state riferite a come Nolan e il fisico teorico Kip Thorne abbiano trattato la materia scientifica, nella fattispecie alla leggerezza con cui abbiano rappresentato le peculiarità dei buchi neri. Gargantua, il wormhole che Cooper deve attraversare per compiere la sua missione, sarebbe troppo vicino ai pianeti visitati nel corso della trama per non risucchiarli e il pilota stesso dovrebbe essere ridotto in cenere durante il passaggio.

Inoltre, è vero che nei pressi di un buco nero il tempo rallenta, ma per ottenere il rapporto secondo cui un’ora sul pianeta dove attraccano i protagonisti equivale a sette anni sulla Terra, occorrerebbe sostare sulla superficie del buco nero. Le incongruenze scientifiche riguardano anche ciò che succede in prossimità dello stesso Gargantua, in particolare sul pianeta di Miller.

Dal momento che questo è molto vicino al buco nero, sarebbe soggetto a una fortissima forza di marea che lo polverizzerebbe o, al massimo, ne bloccherebbe la rotazione, mostrando al wormhole sempre lo stesso lato. In tal modo, la marea dovrebbe essere unidirezionale e non muovere corpi sul pianeta, né tanto meno generare onde. Nel film, sia per quanto riguarda i buchi neri, sia in merito alle maree, succede un po’ il contrario.

 

Una scena del film

 

Senza dubitare della veridicità degli assiomi scientifici, è risaputo che una cura al dettaglio di tipo così nozionistico e preciso, funzionerebbe in un documentario scientifico incentrato sulla materia, che Nolan usa esclusivamente come vettore per raccontare una storia di amore e umanità. Più che di leggi scientifiche, il regista ci racconta la versione romanzata del mito della caverna di Platone, secondo cui per troppo tempo l’uomo si è nascosto, spaventato da ciò che potesse esserci fuori, fino a quando non si è fatto coraggio e ha scoperto la verità sfidando i propri limiti e le proprie insicurezze.

Questo è il viaggio che compie il protagonista della pellicola e che lo condurrà all’epilogo più bello della filmografia del regista, coadiuvato dalla toccante colonna sonora di Hans Zimmer e dalle interpretazioni di un cast stellare. Un piccolo aneddoto sulla genesi del film racconta che, come al suo solito, Nolan prese un taccuino e iniziò ad abbozzare lo script del film e contattò per primo Hans Zimmer, chiedendogli di musicarlo. Il compositore, da poco diventato padre e spinto dall’ispirazione, scrisse la musica in un giorno e solo dopo chiese al regista a che genere di film stesse lavorando e Nolan cominciò a descrivere un racconto epico ambientato nello spazio che parlasse di filosofia, scienza e umanità. Ecco cos’è Interstellar.

Interstellar è il film più emotivamente coinvolgente degli ultimi anni, poco compreso e banalizzato a mera storia d’amore paterno. In realtà è molto di più: è la storia dell’umanità che, non vedendo più la luce all’oscuro di una caverna malsana e inospitale, trascende i limiti dello spazio e del tempo in cerca di salvezza.

“Eravamo abituati a guardare il cielo e a chiederci quale fosse il nostro posto tra le stelle. Ora ci limitiamo a guardare verso il basso e a chiederci quale sia il nostro posto tra la polvere…”

Più che un’opera fantascientifica, è un film sull’uomo e su quanto sia disposto a superarsi e sfidare l’impossibile, in virtù della conoscenza prima, dell’amore poi. Quando tutto sembra perduto per noi stessi, qualcosa può essere fatto per le persone che amiamo ed è questo che porta alla scoperta del tesseratto e delle sue dimensioni. Poco importa se il film non sia accurato scientificamente, non era lo scopo primario del regista e non deve esserlo per lo spettatore che dovrebbe farsi trasportare dalla storia e godersi la spettacolarità visiva, premiata con l’Oscar ai migliori effetti speciali.

 

Interstellar

 

Dunkirk

Avete presente quando andate a far la spesa e, spingendo frettolosamente il carrello, guardate con la coda dell’occhio il reparto libri e film, pensando: “Non guardare, vai avanti, non fermarti e non spendere soldi”. Ecco, in quel momento il vostro occhio cade sul cestone dei DVD in offerta a pochi euro e il tempo si ferma. Qualcosa vi spinge in quella direzione e vi ritrovate con mezzo busto a rovistare tra i film finché non trovate un reperto di rara bellezza.

Ecco, così ho recuperato Dunkirk, film che gioca con la mente dello spettatore e con gli sguardi degli attori. Innegabile che io abbia un debole per Tom Hardy, ma converrete con me che in questo film, nonostante le poche battute, i suoi occhi dicano più di mille parole…  ma questo è solo uno dei motivi per cui Dunkirk è il mio Nolan preferito assieme a Interstellar e non esagero considerandolo un capolavoro.

La sinossi

Nel Maggio del 1940, circa quattrocentomila soldati alleati aspettano di essere imbarcati sulla spiaggia di Dunkerque perché accerchiati dall’esercito tedesco che, ormai, ha invaso la Francia. Seguiamo le sorti di alcuni di loro via terra, mare e cielo con scansioni temporali differenti.

Una settimana sulla terra dove il soldato Tommy (Fionn Whitehead) della British Army cerca di scampare a un’imboscata nemica, ritrovandosi sulla spiaggia che i francesi hanno predisposto per l’evacuazione. Qui conosce Alex (Harry Styles) con cui riesce a salire a bordo di una seconda nave, affondata anch’essa da un U-Boot.

Un giorno via mare salvando naufraghi assieme a Mr. Dawson (Sir Mark Rylance) che, sotto ordine della Royal Army, usa la sua imbarcazione per recuperare i soldati finiti in mare con suo figlio Peter (Tom Glynn-Carney) e l’amico George (Barry Keoghan). Durante diversi salvataggi, faranno salire a bordo un soldato sotto shock (Cillian Murphy) che sarà causa di un grave incidente, e salveranno un pilota precipitato da un Supermarine Spitfire.

Un’ora nei cieli con il pilota Farrier (Tom Hardy) che cerca di abbattere i bombardieri tedeschi e dall’alto vede navi che affondano e piccole imbarcazioni che sciamano intorno per recuperare i naufraghi. Rimasto solo, dal momento che l’aereo del collega è colato a picco, cercherà di colpire lo Junker Ju 87 tedesco prima che questo attacchi il molo.

 

Tom Hardy

 

Il Cubismo sul grande schermo

Con Dunkirk del 2017, Nolan gioca con la mente e le orecchie dello spettatore. La colonna sonora curata da Zimmer (qui alla sesta collaborazione con il regista dopo la trilogia su Batman, Inception e Interstellar) riproduce l’illusione acustica della scala Shepard, che consiste nel suonare simultaneamente una stessa scala in ottave diverse, in modo che l’orecchio percepisca suoni che non sono presenti nello stimolo o li senta diversamente da come sono avvertiti. Il risultato è che chi ascolta sente crescere l’intensità in maniera continua fino alla stasi finale.

Anche la sceneggiatura si adegua a questo principio, rendendo Dunkirk un film che va emotivamente in crescendo, non parlando di guerra, ma delle reazioni umane e delle repentine decisioni da prendere davanti all’imminente pericolo e a lunghe ed estenuanti attese.

Il regista torna ad affrontare il fattore tempo come decisivo delle sorti di uomini e soldati in guerra e lo decostruisce, spezzando il naturale ordine cronologico degli eventi. Lo stesso procedimento applica allo spazio che è diviso in tre dei quattro elementi fondamentali di origine greca (terra, acqua e aria) e che, soltanto alla fine della pellicola, sarà ricostruito dal pubblico. Per questi motivi si definisce Dunkirk un film cubista, laddove il movimento artistico di Pablo Picasso e Georges Braque destrutturava il soggetto, che veniva quindi osservato da più piani e livelli. Inoltre il Cubismo aveva avuto il merito di introdurre sulla tela la quarta dimensione, ovvero il tempo.

L’obiettivo di Nolan è quello di portare sul grande schermo il singulto sincopato di una guerra combattuta da persone di cui non sappiamo nulla, perché non è questo lo scopo: i soldati e gli uomini che si muovono sulla scena sono simboli di umanità i cui destini si incrociano nel tempo e nello spazio. Non si fa menzione dei nemici né tanto meno li si vede, ma siamo in grado di percepirne ugualmente la minaccia.

 

Una scena del film

 

Ad accompagnare i protagonisti, un continuo ticchettio che, al pari di Interstellar, entra nella testa di noi spettatori e quando termina ciò che resta è un silenzio assordante. Riempire di dialoghi questo film avrebbe distolto la concentrazione dello spettatore, meglio optare per poche battute ma efficaci, e giocare su altri sensi.

Dunkirk è l’emblema di quello che il cinema di Nolan rappresenta: non il cosa, ma è il come a essere il suo tratto distintivo. Ancora una volta, il regista ha cercato di essere quanto più realistico possibile e, con la supervisione del direttore della fotografia olandese Hoyte Van Hoytema, ha personalizzato l’attrezzatura IMAX per consentire di usarla in una vera cabina di pilotaggio di un aereo della seconda guerra mondiale per una resa più fedele alla realtà.

Incredibile come Nolan abbia reso claustrofobico il suo film più aperto, con il ricorso agli spazi chiusi, agli orologi che segnano il tempo che si assottiglia e ai contatori di un serbatoio che scende inesorabilmente. Il dovuto riconoscimento di un capolavoro di genere va anche al cast corale che annovera volti meno conosciuti, come Aneurin Barnard (visto nella sfortunata serie tv 1899, creata dagli ideatori di Dark) e più famosi come Kenneth Branagh e Sir Mark Rylance. I due interpretano rispettivamente il comandante Bolton e Mr. Dawson che rappresentano la vecchia guardia, quelli che lo stesso Dawson definisce gli anziani che hanno voluto quella guerra e devono fare i conti con la responsabilità di quella scelta.

Alla maniera euripidea, le colpe dei padri ricadono sui figli (in questo particolare caso nel senso stretto dell’espressione perché le vicende porteranno a una tragedia che colpirà direttamente Dawson) e sono i primi che devono riscattare i giovani e cercare, in qualche modo, di chiedere scusa. Sarà l’umanità a trionfare perché il potere, rappresentato dal comandante e i suoi mille agganci in politica, rimarrà inebetito sul molo, in attesa e senza più assi nella manica. L’ultima cosa che gli resterà da fare, sarà aspettare anche gli ultimi soldati francesi e portarli in salvo, perché anche loro hanno combattuto al fianco degli inglesi per una causa comune.

 

Dunkirk dietro le quinte

 

Oppenheimer

Quando ho saputo che Nolan stava lavorando alla sua ultima pellicola, Oppenheimer, sono andata in fibrillazione perché ero certa avrebbe diretto un film spettacolare, nella trama e nella scenografia. Ho visto il film di domenica pomeriggio a ora di pranzo, con poca gente in sala e quel giorno, per centottanta minuti, la mia mente non ha proferito pensiero.

La sinossi

Nel 1938 la Germania scopre la fissione nucleare e, di lì a breve, scoppierà il secondo conflitto mondiale. In piena guerra, il generale Leslie Groves (Matt Damon) recluta il fisico teorico J. Robert Oppenheimer (Cillian Murphy) per dirigere il Progetto Manhattan e mettere a punto una bomba atomica che fermi il conflitto.

Oppenheimer convoca un team per lavorare in segreto in un laboratorio a Los Alamos, nel deserto del Nuovo Messico, dove il governo americano ha costruito una cittadina fittizia per tenere vicini gli affetti degli scienziati e, soprattutto, sviare ogni sospetto sulle operazioni.

Nel frattempo Hitler muore, ma la guerra continua nel Pacifico e si decide di indurre il Giappone alla resa radendo al suolo le città di Hiroshima e Nagasaki, non prima di aver testato la bomba durante il Trinity test. Vittima dei rimorsi per la devastazione causata dal suo ordigno, Oppenheimer si batterà per limitare l’uso e la costruzione di bombe mentre il Presidente Harry S. Truman (Gary Oldman) guarderà con interesse al progetto sulla bomba  a idrogeno di Edward Teller (Benny Safdie), collega del fisico.

Inizia così lo scontro ideologico tra Oppenheimer e Lewis Strauss (Robert Downey Jr.), Presidente dell’AEC, la Commissione per l’energia atomica degli Stati Uniti d’America.

 

Oppenheimer

 

Il Prometeo americano

L’ultima grande fatica di Nolan, costata due anni e mezzo di lavoro, comincia con un rimando al Prometeo sia per avvertirci che quella che vedremo è una tragedia mitica, ma radicata nella realtà, sia perché il film è tratto dalla biografia American Prometheus: The Triumph and Tragedy of J. Robert Oppenheimer di Kai Bird e Martin J. Sherwin, Pulitzer per biografia e autobiografia del 2006.

Il film parla della nascita del Progetto Manatthan, che portò alla creazione della bomba atomica sganciata su Hiroshima e Nagasaki il 6 e il 9 Giugno del 1945. Progetto a capo del quale fu posto il fisico Julius Robert Oppenheimer, qui interpretato da Cillian Murphy che, finalmente, diventa protagonista in una pellicola di Nolan dopo essere stato per tanto tempo un contorno, seppur importante.

Lo avevamo visto, negli ultimi due capitoli della trilogia sul Cavaliere Oscuro, interpretare il ruolo dello Spaventapasseri, in Inception nei panni di Robert Michael Fischer e in Dunkirk come un anonimo e tremendamente scosso soldato. In Oppenheimer presta il volto (tra le altre cose molto somigliante) al celebre fisico diventato morte e distruttore di mondi.

Non si confonda Oppenheimer con un biopic, però. Nolan sa bene che il genere è stato abusato e non sarebbe nemmeno stato da lui dirigerne uno, sterile e piatto nella narrazione. Pur presentandoci uno spaccato della vita del fisico, lo fa in maniera quasi schizofrenica, entrando nella storia e nella mente del protagonista con continui flashback e flashforward che non fanno sentire allo spettatore il peso delle tre ore di film.

Il cuore della pellicola sta nel concetto di Natura. Per capire di cosa parlo, occorre aprire una parentesi sui cambiamenti epocali che hanno interessato i primi anni del Novecento. Il mondo era sull’orlo di un conflitto globale cui ne avrebbe fatto seguito un secondo, data l’incapacità delle potenze di mantenere un equilibrio tra le parti.

 

Una scena del film

 

Inoltre Albert Einstein, con la teoria della relatività, aveva messo mano alla scoperta che avrebbe rivoluzionato la fisica e portato a una differente idea di Natura, ma non solo. Negli stessi anni, Sigmund Freud apriva le porte alla psicanalisi e cominciava a studiare la psiche dell’uomo nei suoi anfratti più reconditi. Entrambi, dunque, hanno portato la Natura da una dimensione oggettiva a soggettiva, l’hanno resa plasmabile e non più un dato di fatto certo e immobile.

Robert Oppenheimer rappresenta il crocevia tra i due aspetti perché, pur giocando a far Dio, è sopraffatto dai due tipi di Natura: da un lato quella reale in cui si muove e che cerca di modellare, che è imprevedibile (una ipotetica reazione a catena avrebbe spazzato via la Terra), dall’altro quella intrinseca al suo essere, che lo angoscia con visioni future di distruzione e decadenza. In tal modo, Nolan ci parla non solo di un creatore, ma anche di una vittima, con un ruolo importante svolto dalla Storia e da chi ne muove i fili. Oppenheimer è al centro di tensioni, macchinazioni, dubbi e tradimenti, a partire dal suo stesso entourage, che temeva una catastrofe globale.

Da cosa nasce un film del genere, così tanto approfondito sul piano psicologico? Nolan è sempre stato affascinato dall’essere umano, con i suoi interessi e le sue crisi di coscienza e per meglio calarsi nel contesto, prima di tutto lui come regista e poi gli attori, ha deciso di girare il film in Nuovo Messico, riproducendo i bunker e la torre dove gli scienziati fecero detonare la prima bomba al plutonio, chiamata con il nome in codice the Gadget durante il Trinity test del 16 Luglio del 1945.

Si arriva così alla scena più attesa del film, per cui il regista ha preferito evitare il ricorso alla CGI: è vero che la resa dal punto di vista visivo sarebbe stata di impatto, ma avrebbe sacrificato il riscontro emotivo nello spettatore. L’intento di Nolan era quello di trasmettere l’angoscia e il terrore che una detonazione atomica avrebbe comportato ed è difficile spaventare con la computer grafica.

Con Scott Fisher ed Andrew Jackson a supervisionare gli effetti visivi, il team ha sperimentato diverse tecniche per ricreare scintille e vampate di fuoco tipiche di una detonazione, dopo aver visionato il materiale originale dell’esplosione; sono state fatte esplodere palline da ping pong, è stata gettata vernice sui muri, sono stati combinati razzi di magnesio con la benzina, il tutto corredato dall’ampia fotografia IMAX, gestita ancora dal direttore Hoyte Van Hoytema, e da un minuzioso montaggio su scala reale e in miniatura.

Il risultato è una scena che i Romantici avrebbero definito sublime: affascinante e spaventosa allo stesso tempo, qualcosa che ti chiama a sé, ma ti respinge immediatamente dopo per la sua portata distruttiva.

 

Robert Downey Jr. e Cillian Murphy

 

Il mio personale diario nolaniano non si esaurisce con Oppenheimer, bisognerebbe parlare in modo approfondito degli altri film del regista che ho recuperato nel tempo, come The prestige (2006), una corsa tra passato, presente, realtà e illusione che lascia con il fiato sospeso fino all’ultimo minuto; oppure Inception (2010), che indaga un’ulteriore dimensione del tempo, quello onirico proiettato nel sogno. Degno di essere menzionato sarebbe anche il suo primo lungometraggio, Following (1998).

Vi consiglio di vedere quest’ultimo per capire in che modo Nolan abbia mosso i primi passi nel cinema, quando era ancora sconosciuto e aveva deciso di girare in bianco e nero e in 16mm in modo da semplificare l’apparato luci e poter avere quindici minuti di girato a settimana, pagare gli operatori e andare avanti così per quattro mesi circa.

Questo è il Nolan che, con i pochi soldi che ha a disposizione, scrive, dirige e paga il suo primo film e trova escamotage per arrivare al suo scopo, andando anche incontro alle esigenze della troupe che lavorava a tempo pieno in una Londra caotica e frenetica.

Prima di congedarmi, come al mio solito, vi lascio una bonus track che farà storcere il naso a molti di voi anche se, parlandone in giro, sto scoprendo che a tanti è piaciuto. E ne sono felice. Scavando qua e là, si scopre di essere in tanti nolaniani e, se a inizio articolo ho usato l’aggettivo in senso negativo, dopo aver ripercorso i suoi film, posso dire di essere fiera di seguire e sostenere un regista del calibro di Nolan e di essere definita nolaniana.

 

Following

 

Tenet(e) una bonus track

Inception sta a ai film sulle rapine come Tenet ai film di spionaggio” sono le parole con cui Christopher Nolan parla del suo penultimo film (2020), la cui trama, dopotutto, è meno complessa di quanto si ritenga. Ho impiegato davvero tanto a vederlo perché, lo ammetto, ero spaventata da una possibile delusione, vista la pioggia di critiche che lo ha travolto. La stesura dell’articolo è stato il pretesto per guardarlo e farmi un’idea su quello che dovrebbe essere il suo peggiore film.

Dall’1 Giugno è disponibile sulla piattaforma Prime Video di Amazon, assieme ad altri film scelti di Nolan. In merito alla trama, non scenderò in dettagli, ma mi limiterò, come fatto finora, a raccontarvi i punti salienti: il Protagonista (John David Washington) è un agente speciale incaricato di evitare un armageddon su scala mondiale scatenato dal russo Andrei Sator (Kenneth Branagh).

L’unica parola su cui può fare affidamento per la riuscita della missione è tenet. La parola è estratta dall’iscrizione latina palindroma del Sator, “sator arepo tenet opera rotas”, in cui il termine tenet è esso stesso palindromo; inoltre, in inglese significa dottrina e contiene un doppio riferimento al numero dieci, fondamentale nel finale del film.

 

Quadrato del Sator

 

Apro un piccola parentesi sul Quadrato di Sator, oggetto di studio e al centro di svariate interpretazioni, perché forse può aiutare a capire quanto sia importante per l’ipotetica risoluzione del film. Le cinque parole, disposte su cinque righe e cinque colonne, significherebbero (se lette da sinistra verso destra) “il seminatore, col suo carro, tiene con cura le ruote”; tale interpretazione, se traslata sul piano astronomico e religioso, potrebbe essere resa anche con “il Creatore con il carro tiene in moto le orbite”, laddove il seminatore diverrebbe un Dio, forse cristiano, forse no.

Il termine arepo, infatti, non è di derivazione latina, ma probabilmente gallica il che potrebbe far pensare anche ad antiche influenze pagane; diverso se lo considerassimo contrazione della parola aeropago, cioè tribunale supremo. In questo caso, la traduzione dell’iscrizione andrebbe rivista completamente e tradotta con “il seminatore decide i suoi lavori quotidiani, ma il tribunale supremo decide il suo destino”.

Elucubrazioni esoteriche a parte, è ovvio che nel quadrato sia insito il concetto di tempo tenuto o gestito da qualcuno di superiore, ed è proprio attorno al termine tenet che ruota il film, in cui qualcuno tiene i fili del gioco e determina il passato e il futuro. Ma anche un deus ex machina ha bisogno di un supporto. Ad aiutare il Protagonista ci sarà Neil (Robert Pattinson), amico di vecchia data che lo aiuterà a capire come invertire il tempo per tornare indietro e cambiarlo nella direzione più consona a salvare il mondo dalla minaccia che incombe.

 

John D. Washington e Robert Pattinson sul set di Tenet

 

Tenet rappresenta l’approdo di Nolan a un’ulteriore livello cinematografico ed è anche il modo per sperimentare nuove soluzioni riguardo quelli che sono i punti di forza delle sue sceneggiature. I motivi per cui è un film valido sono diversi:

 

Per apprezzare Tenet, o i film di Nolan in generale, mi vengono in mente le parole che Leonard Shelby pronuncia in Memento: “Devo credere in un mondo fuori dalla mente” e, per citare Tenet stesso, “[···] guardare il mondo con occhi nuovi“. Per Nolan significa crescere sempre affetti, come dice egli stesso, dalla sindrome di Peter Pan al contrario. A tal proposito, racconta di aver ricevuto in regalo da Pattinson, un libro con i discorsi di Oppenheimer, un uomo che non smise mai di cercare, sfidò pericolosamente se stesso, ma portò il mondo a una conoscenza altra.

 

Tenet

 

Il tempo secondo Nolan

Inutile negare che Nolan sia ossessionato dal tempo. In realtà, l’uomo si è sempre interrogato su quello che spesso è considerato il suo peggior nemico perché passa e porta via tutto con sé; l’unico appiglio sarebbe la memoria, ma anche quella si fa labile con il passare delle stagioni e ciò che resta dei ricordi, alla fine, sono solo aloni sbiaditi senza contorni.

Ma cos’è esattamente il tempo? Credo che ognuno di noi abbia la sua risposta: lineare che tende a sempre a un punto infinito e scandito da eventi differenti che si migliorano, peggiorano o restano invariati; oppure circolare, chiuso in un loop infinito in cui dal punto A si fa il giro per tornare allo stesso punto A e ricominciare la storia con corsi e ricorsi, per dirla alla maniera di Vico? In questo modo il tempo influenza la storia e può renderla costante cambiamento o continua ripetizione.

Nolan ci insegna che il tempo può essere riavvolto in Memento, sospeso in Insomnia, rallentato in Interstellar, frammentato in Dunkirk, invertito in Tenet, insomma…   plasmato dall’uomo a suo piacimento. Sembra quasi una speranza, per quanto impossibile da realizzare (forse), di poter gestire qualcosa più grande di noi contro cui combattiamo quotidianamente.

Il regista rende il tempo qualcosa di concreto, una dimensione vera e propria, e usa il mezzo cinema per mostrarci come possa essere deformato passando per storie ed eventi. Si tratta di un lavoro che porta avanti dall’inizio della sua carriera e che si è spinto sempre oltre, passando dalla psicanalisi alla fisica per poi arrivare a piegare le leggi della termodinamica nel suo penultimo lavoro, Tenet. Da qui a Oppenheimer il passo è breve.

Appare evidente che per Nolan esistano un tempo esteriore e uno interiore. In realtà, tale assioma è avvallato da anni di letteratura psicanalitica e preconizzato anzitempo dal poeta Francesco Petrarca che, nei suoi sonetti, parlava di luoghi dell’anima, riferendosi al tempo e allo spazio, che si confacevano allo stato emotivo provato in un determinato momento. Ciò significa che il poeta soggettivava il dove e il quando in base al suo stato d’animo, in maniera del tutto acerba perché nel Medioevo mancavano quegli strumenti conoscitivi che avrebbero permesso una più approfondita analisi dell’esperienza e la sua diretta indagine.

 

Frammentarietà del tempo

 

Tornando alle due dimensioni, il primo tipo di tempo che viviamo, quello più meccanico, scorre a prescindere da noi stessi, mentre il secondo è la percezione che introiettiamo dello stesso. Tra di loro si apre una frattura molto simile all’indifferenza perché la Natura deve seguire il suo corso; l’uomo riempie tale faglia mediante il ricordo e il racconto, come spiegato in in Memento. Questo non basta a risanare la ferita nell’individuo, quindi occorre mentire o riformulare concetti credendoci fino alla fine, pur sapendo non corrispondano a verità.

Nelle pellicole di Nolan tutti mentono, non con l’intenzione di far del male agli altri quanto, semplicemente, per andare avanti e, al massimo, far del male a loro stessi. Bruce Wayne e James Gordon mentono alla città di Gotham sulla vera natura di Harvey Dent perché la gente ha bisogno di un eroe e di qualcosa a cui aggrapparsi nei momenti difficili; Cooper non dice a sua figlia che sa per certo che non farà mai ritorno a casa perché non è quello di cui ha bisogno la bambina in quel momento.

Si tratta di vivere la realtà e ancorarvisi in una maniera alternativa, ma funzionale alla sopravvivenza emotiva dell’individuo. In un discorso ai laureandi di Princeton, Nolan si rifiutò di dire ai ragazzi di inseguire i loro sogni, perché per primo lui non ci ha mai creduto; “[···] inseguite, piuttosto, la vostra realtà [···]; i sogni, le nostre realtà virtuali, le astrazioni di cui ci si innamora e in cui ci si crogiola, sono dei sottogruppi della realtà”.

 

 

Ho parlato poco di Inception (2010) perché ho preferito lasciare spazio ai film più discussi o meno conosciuti del regista ma, parlando di sogni, occorre aprire una parentesi anche su quella pellicola. Cosa accade alla trottola che gira in primo piano nel finale? Cadrà o continuerà a girare? Questa è la grande domanda che lascia lo spettatore in sospeso e che più di tutte esige una risposta perché dalla trottola dipende la conclusione del film: se dovesse fermarsi e cadere, Dominic Cobb (Leonardo Di Caprio) tornerebbe nella realtà, in caso contrario resterebbe intrappolato per sempre nella dimensione onirica.

L’uomo, per Natura, ha bisogno di attaccarsi a un dato reale perché, in fin dei conti, è la realtà l’unica cosa che conta nella sua esistenza. Ecco spiegato il motivo per cui il cinema di Nolan appaia così ostico e difficile da comprendere, perché non dà allo spettatore gli appigli concreti a cui aggrapparsi per costruirsi una trama lineare, ma lascia che sia egli stesso a decidere quale realtà seguire, se quella soggettiva o quella oggettiva.

Nella realtà dei fatti Christopher Nolan è un regista meno complicato di quanto possa sembrare. Sicuramente cerebrale, i suoi film presuppongono un certo livello di concentrazione, ma con la giusta predisposizione ci si rende conto che sa conciliare il cinema di intrattenimento (dove con tale termine non si intende necessariamente la commedia e l’horror, i generi più di intrattenimento possibile seppur in modi differenti) e un tipo di cinema più impegnato. Insomma, Nolan soddisfa ogni palato, bisogna solo sentirlo, come avverte in Tenet e “non tentare di comprenderlo“.

 

Inception
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