Tutti conosciamo il talento indiscusso di Mamoru Hosoda nel saper trasformare l’aspetto immaginativo in un vero e proprio ponte di congiunzione tra il fantastico e il reale. Ogni sua opera riesce a incarnare un sentimento, un aspetto, un tratto, un dettaglio che viene amplificato grazie alla potenza visionaria che lo contraddistingue.
Belle, lungometraggio prodotto nel 2021, è solo l’ultima delle tante perle nate dal suo genio che viaggiano su un doppio binario: l’amore per il lato estetico tenuto estremamente in considerazione, e il forte impatto emotivo che il regista si premura di considerare sempre, mediante trame che sappiano raccontare storie cariche di significati morali così da emozionarci sotto ogni punto di vista.
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ToggleIl fantastico mondo di Mamoru Hosoda
One Piece – L’isola segreta del barone Omatsuri, La ragazza che saltava nel tempo, Summer Wars, Wolf Children – Ame e Yuki i bambini lupo, The Boy and the Beast, Mirai e appunto Belle, sono tutte opere confezionate magistralmente, cariche dell’amore di Hosoda per il genere, che non smette mai di incantarci e farci vivere esperienze magiche.
L’aspetto sicuramente più solido del suo lavoro risiede proprio nel tratto dei disegni e nelle scenografie estremamente accurate. Il mondo di U, contesto principale in cui si sviluppa il film, è un’architettura imponente e sontuosa che ci lascia letteralmente senza fiato.
Ogni dettaglio è un’ode nel glorificare l’arte visiva e innescare il desiderio di immersione in questo mondo fantastico: lo stesso spettatore si sente parte integrante del contesto che viene rappresentato, percependo istintivamente la piacevole sensazione di vivere una paradossale sospensione del tempo.
Un tripudio di colori
Sicuramente a una prima occhiata, guardando i primi fotogrammi di Belle, l’aspetto che risalta sin da subito all’occhio riguarda l’uso magistrale del colore. La componente scenografica gioca un ruolo molto importante, o per meglio dire decisivo.
Veri e propri quadri caleidoscopici, così potrei definire il mondo virtuale di U, realtà in cui ogni persona può generare il proprio alter ego e vivere una seconda vita decisamente più gratificante. In questo Metaverso variopinto e danzante, lo spettatore viene bombardato da figure e strutture condite dalle più svariate gradazioni cromatiche che rendono l’esperienza visiva tanto unica quanto suggestiva.
La potenza dello strumento grafico, coadiuvato dal pieno controllo di come vengono gestiti i fotogrammi della stessa animazione è usato in maniera sapiente: un tripudio per gli occhi che non vengono mai disorientati dalla velocità delle sequenze dell’azione all’interno dell’elaborato mondo di U.
Non è la prima volta che Hosoda si interfaccia con realtà avveniristiche o fiabesche, tanto per citare altre due opere che giocano molto sull’ambientazione, impossibile non menzionare Summer Wars e The Boy and the Beast che hanno saputo abbagliarci grazie alle intuizioni stilistiche; già in Summer Wars la realtà virtuale era stata sfruttata come elemento di narrazione, oltre che a colori e ambientazioni che hanno saputo colpirci apprezzando il genio creativo dell’animatore giapponese.
Summer Wars 2009
Vivere una seconda esistenza
Soffermandoci sulla trama, qual è quindi la storia che viene raccontata in questo lungometraggio? Tutto come detto inizia con un primo sguardo dentro U, la realtà alternativa che vede miliardi di individui coesistere nello sconfinato mondo della rete virtuale.
Figure dalle più stravaganti forme che si agitano e si dimenano al ritmo di una musica impossibile da ignorare. Una balena che fluttua sopra le innumerevoli teste del popolo del cyberspazio, adornata da casse stereo che propagano la sontuosa voce della protagonista: Belle.
La bellezza delle immagini ci abbraccia e ci ristora; siamo sedotti da questa realtà in cui tutto, apparentemente, risulta gioioso e “spensierato”. Ogni giorno è una festa e chiunque, appena gli è possibile, si connette all’interfaccia per partecipare alle danze.
Ma come dice il detto ogni moneta che si rispetti mostra due facce. Belle che sembra perfetta, bellissima, tanto invidiata e al contempo stimata per il suo status di icona popolare, cela come tutti gli esseri sfumature opache: insicurezze, tormenti, senso di solitudine.
Se da un lato l’alter ego spopola e illumina il mondo di U con il suo carisma e il sorriso smagliante, nella realtà di tutti i giorni, l’introversa studente Suzu – proprietaria del profilo – si interfaccia col mondo con non poca difficoltà. Uno dei suoi più grandi limiti è il non riuscire a comunicare con il padre che prova a starle vicino come può ma senza ottenere risultati soddisfacenti.
Siamo di fronte a una storia carica di riflessione sull’essere umano e sul conseguente desiderio di vivere esistenze fittizie per colmare il profondo senso di vuoto che appesta la vita quotidiana. Molto commoventi sono i flashback che riguardano Suzu: l’elemento cronologico viene scandito dal salto della linea temporale tra passato e presente per spiegarci come la ragazza sia arrivata alla decisione di creare un profilo per connettersi a U.
La volontà di estraniarsi da un mondo che percepisce frantumato dopo la perdita della madre. Un mondo che sente non appartenerle più o meglio, che fatica a riconoscere come contesto in cui vivere. Un vero e proprio impasse che dovrà demolire poco alla volta; solo dopo aver affrontato i suoi demoni e superato le sue paure, potrà infine sbocciare e acquistare sicurezza, ma per fare ciò dovrà prima scrutarsi nel profondo.
Questo lo potrà fare solo grazie a un altro personaggio del fittizio mondo con cui cercherà di relazionarsi in tutti i modi tentando di frantumare il muro di diffidenza alzato da quest’ultimo. Grazie a lui imparerà ad amare più se stessa e venerare un po’ meno Belle capendo che la vita non va vissuta virtualmente ma affrontando le sfide nel mondo vero.
Una favola moderna
Altro elemento interessante che rende questo lungometraggio molto particolare è la volontà da parte di Hosoda di attingere dall’elemento favolistico: già in opere come The Boy and The Beast e Wolf Children la favola si è dimostrata colonna portante per poter ricamare il racconto e impreziosirne la poetica.
La storia prende una biforcazione in cui non solo Suzu si trova spaesata e confusa – seppur in U abbia ottenuto fama e successo – ma anche una seconda criptica figura, comparsa all’improvviso, manifesta le stesse angosce e timori in maniera decisamente più marcata. Questa tematica di vivere doppie vite in cui riversare il meglio o il peggio di se stessi risulta uno strumento comunicativo molto efficace, tanto che la narrazione non ci annoia mai e ci sprona ad arrivare alla fine del racconto per scoprire il colpo di scena.
Come detto la storia attinge alla favola, più precisamente al racconto de La Bella e la Bestia – lo stesso titolo scelto è un chiaro indizio – e nel film non facciamo fatica a riconoscere i chiari richiami dell’opera di Madame de Villeneuve o, per le generazioni più giovani, del lungometraggio animato della Disney che tanto abbiamo amato.
Proprio per questo è interessante il solido lavoro nella caratterizzazione di due personalità “all’apparenza” così tanto diverse: Belle amata e venerata, e il Drago, un AS (profilo) dal look raccapricciante, odiato da tutti per la sua furia che riversa su U senza contenersi minimamente.
Tutto ruota attorno allo status sociale, venendo fregiati di lode o infamia in base al livello di popolarità che si ottiene. La stessa Belle (Suzu), durante un flashback che narra la sua prima immersione nel contesto virtuale, subirà il giudizio critico della comunità, che riuscirà a conquistare solo in seguito grazie alle sue doti canore.
Conclusioni su Belle
Personalmente reputo questo lungometraggio davvero ben realizzato sia da un punto di vista stilistico sia a livello narrativo: i due aspetti si supportano a vicenda. Hosoda negli anni ha saputo conquistare il pubblico, con cui ha sugellato un vero e proprio patto di fiducia che non si sfalda neanche nella sua ultima fatica e anzi, riesce a rinnovare quel rispetto reciproco tra il regista e lo spettatore.
Un prodotto molto godibile che non può non essere apprezzato dagli amanti del genere – e soprattutto dagli estimatori di questo grande artista – che amano deliziarsi con simili prodotti di animazione tanto ben curati. Il ritmo della narrazione non annoia mai in quanto la coerenza del racconto risulta solida. Ogni personaggio che ci viene mostrato adempie al suo ruolo senza risultare banale, scontato o inserito tanto per fare numero: tutto ciò ci permette di analizzare la vita della protagonista da diversi punti di vista.
Ovviamente, essendo un film di animazione la componente grafica, stilistica e l’uso del colore risultano fondamentali ma questo non adombra la trama che riesce a consolidarsi tanto da ricoprire un ruolo importante, come d’altronde Hosoda ha sempre tenuto in considerazione in ogni suo lavoro.
La mia votazione quindi è più che positiva, consigliandovi la visione che spero apprezzerete nello stesso modo in cui l’ho apprezzata io. Ci si vede su U.