Nel 1965 Frank Herbert pubblica Dune, un romanzo capostipite del genere fantascientifico, fenomeno di culto e massima ispirazione per film quali Blade Runner e Star Wars. Diversi registi hanno tentato di adattare l’opera al grande schermo, fallendo (quasi) miseramente. Tra questi, David Lynch che ha girato il peggior film della sua carriera. Vediamo da vicino i motivi di un flop annunciato non prima di esser sbarcati sul pianeta Arrakis per capirne la portata e farci un’idea dei motivi per cui trasporre Dune non è così semplice.
Non sappiamo bene a cosa si sia ispirato l’autore per il geomorfismo di Arrakis; la prima cosa che il pianeta ci ricorda è il Sahara o i deserti del Medio Oriente, ma potrebbe esserci dell’altro. Quando Herbert scriveva il primo libro della saga, la sonda Mariner 4 sorvolava Marte svelandone la faccia arida e desertica (molto simile a quella descritta nel romanzo) e cancellando una volta per tutte l’idea di un pianeta florido e fertile. Sarà un caso che anche Arrakis un tempo fosse rigoglioso di vegetazione?
Ancora più interessante è la vicenda che ha riguardato la cittadina di Florence negli anni Cinquanta. In quel periodo l’Oregon era interessato dal fenomeno delle sabbie attive soggette a mutamenti per via degli agenti meteorologici e pericolose sia per gli abitanti delle città che per la viabilità; si cercò, quindi, di stabilizzare il problema introducendo l’ammofila arenaria, una pianta invasiva che, nel giro di poco tempo, si è propagata velocemente trattenendo le sabbie e alterando l’ecosistema della zona.
Ma questa è un’altra storia perché quello che a noi importa è che Herbert fu chiamato a redigere un articolo sull’intervento e rimase affascinato da quello che gli si palesò davanti agli occhi, tanto da scrivere che
“Queste tempeste di sabbia possono essere devastanti quanto un maremoto”
Detto ciò, devo necessariamente raccontarvi qualcosa del romanzo, pur non scendendo nel dettaglio. Qualora non voleste rovinarvi la sorpresa, potreste leggere l’articolo a partire dal paragrafo sulla filosofia di Dune e proseguire con l’analisi del film girato nel 1984.
Indice
ToggleLa trama di Dune
L’antefatto
Nel 10191, 24.ooo anni nel futuro, le Case nobiliari che governano i pianeti della Galassia sono sotto il controllo dell’Imperatore Padishah Shaddam IV contro cui tramano. Il Landsraad, Gran Consiglio che riunisce i Governatori, deve tener conto anche della Gilda Spaziale, unica organizzazione a conoscere i segreti dei viaggi spaziali.
A legare tutti, la Spezia (o mélange), una sostanza psicoattiva in grado di alterare il sistema neurologico e deformare lo spazio-tempo, utile a viaggiare tra i pianeti senza il ricorso a macchinari elettronici. Infatti, tempo addietro, la Galassia fu scossa da un violento jihad Butleriano anti-tecnologico che vietò l’utilizzo della robotica e ne fece assunto imprescindibile nella sua Bibbia Cattolico Orangista.
“Non costruirai una macchina a somiglianza della mente di un uomo”
I pianeti sprofondarono in un nuovo medioevo e cominciò l’estrazione sistematica della Spezia che si trova su Arrakis, un pianeta desertico chiamato Dune dalla popolazione Fremen, diffidenti e ostili nei confronti del potere imperiale che li ha soggiogati per anni.
Atreides VS Harkonnen
La storia inizia quando il Duca Leto della famiglia Atreides, per ordine dell’Imperatore, lascia il suo pianeta Caladan per Arrakis, con la concubina Lady Jessica e il loro figlio ed erede Paul. Giunti sul nuovo pianeta, vengono accolti con freddezza a causa dei soprusi subiti dalla Casa degli Harkonnen, che per ottant’anni, aveva dominato su Arrakis. Per il Duca e la sua famiglia è difficile far capire agli abitanti del posto che sono diversi dai precedenti governatori ma, a fatica, si conquisteranno la fiducia dei Fremen.
La situazione precipita velocemente quando, dopo un attentato alla vita di Paul, gli Atreides scoprono che il trasferimento su Arrakis è stato deciso dall’Imperatore in accordo con il capostipite degli Harkonnen, il Barone Vladimir, per indebolire la casata avversaria che si stava imponendo nel Landsraad e uccidere il Duca. A facilitare le operazioni ci sarà il medico degli Atreides, il dottor Yueh, ricattato dal Barone che tiene in ostaggio la moglie: solo quando avrà ucciso Leto, potrà riabbracciarla. Inutile dire che il Barone, nella sua infinita cattiveria, a missione compiuta si libererà presto di entrambi.
“Leto scivolò rapido attraverso i ricordi…simili all’antico brontolio delle vecchie sdentate. La stanza, il tavolo, il Barone, due occhi atterriti…azzurro nell’azzurro..tutto si schiacciò intorno a lui in una simmetrica distruzione”
Yueh è un traditore, ma avendo servito per anni gli Atreides e odiando i loro nemici, fa in modo di salvare Jessica e Paul e lascia una capsula avvelenata al Duca, per permettergli di uccidere il Barone. L’attentato fallisce perché a morire è il solo Leto, ma Lady Jessica e Paul riescono a fuggire.
L’ascesa di Muad’Dib
I due superstiti devono adattarsi pian piano alla vita del deserto e in questo saranno aiutati dalla comunità Fremen che insegnerà loro a non sprecare liquidi, procacciarsi il cibo e sopravvivere. Anni passati così li temprano e cambiano nel profondo, soprattutto il giovane Atreides i cui sensi vengono amplificati dall’assunzione quotidiana di Spezia; Jessica e Paul iniziano ad avere previsioni sul futuro e ad apparire come coloro che realizzeranno una vecchia profezia che libererà i Fremen dall’invasore e trasformerà Arrakis in un grande e rigoglioso giardino.
“[···] Vide la propria morte in un numero infinito di modi. Vide nuovi pianeti, nuove civiltà. Gente. E ancora gente. Moltitudini impossibili a numerarsi e tuttavia la sua mente ne percepiva chiaramente l’esistenza”
Paul assume il nome indigeno di Muad’Dib – il topo canguro che si era perfettamente adattato alla vita ostile del pianeta Arrakis – e conosce Liet, il planetologo che conserva acqua e semi per coltivare, un giorno, le dune di Arrakis. È bene sapere che far crescere vegetazione sul pianeta significherebbe diminuire la quantità di sabbia dove vivono i vermi giganti, unici produttori di Spezia per cui il contatto con l’acqua è fatale.
Imperversa la guerra tra fazioni nemiche e Muad’Dib raduna un esercito di Fremen sotto il suo nome con al fianco la ragazza di cui è innamorato, Chani, e sua madre che si è sottoposta a una prova di iniziazione che l’ha portata a un passo dalla morte (e alla compromissione della bambina che porta in grembo, figlia di Leto), ma le ha dato accesso alle memorie delle sue antenate, trasformandola in una Madre Superiora. Convinto di poter acuire i propri poteri, anche Paul si sottopone alla stessa prova, bevendo un infuso di Spezia e andando in coma per diversi giorni.
L’epilogo
Risvegliatosi, Paul scopre la verità sulla sua natura che affonda le radici nella storia del Bene Gesserit, un’antica scuola di addestramento psico-fisico nata dopo il jihad Butleriano con lo scopo di dar luce a un essere perfetto dai poteri straordinari. Lady Jessica avrebbe dovuto concepire una femmina ma, per amore di Leto, diede alla luce Paul, sconvolgendo i piani della sorellanza che non credeva un uomo potesse avere accesso ai poteri che, per secoli, erano stati appannaggio della casta femminile.
“[···] La razza umana aveva preso coscienza della sua stagnazione, del suo malsano ripiegarsi su se stessa, e ora vedeva un’unica via di scampo: il turbine che avrebbe mescolato i geni, al quale sarebbero sopravvissute le combinazioni più forti. In quell’istante tutti gli uomini formavano un unico organismo incosciente in preda a un istinto capace di travolgere qualsiasi barriera”
Ora, Paul il Prescelto è tanto potente da guidare lo scontro finale: gli Harkonnen saranno uccisi e l’Imperatore costretto a una umiliante resa concedendo la mano di sua figlia Irulan al Duca Paul, pur di evitare la distruzione di Arrakis e della sua Spezia.
Paul diventa Imperatore e la profezia messianica Fremen, secondo cui sarebbe giunto il Lisan al-Gaib, Voce di un altro Mondo che li avrebbe liberati dalla decennale tirannia Harkonnen, può compiersi.
La filosofia di Dune
I personaggi
Come è facile intuire, trasporre sul grande schermo la materia partorita da Herbert non è semplice. Dune è un romanzo infarcito di filosofia e studio introspettivo dei personaggi. Psicologicamente parlando, i più interessanti sono sicuramente quattro:
- Paul Atreides compie un percorso di formazione junghiano che lo porta a maturare entrando in contatto con il suo io più profondo. Paul nasce come persona (che per Carl Gustav Jung nasconde la parte più autentica di noi) e deve diventare individuo, liberandosi dagli obblighi di corte e dall’educazione rigida del padre Leto che, nonostante sia liberale e filantropo, lo influenza con determinate etichette culturali.
- Il Duca Leto è un modello (quello che Sigmund Freud avrebbe definito Io ideale) che deve essere sovvertito dal figlio per trovare la propria strada. L’unica via è quella drastica del rovesciamento ed è questo il motivo per cui Paul si ribella al sistema che lo ingabbia retto dal Barone Harkonnen e di cui il padre stesso fa parte.
- Il Barone Harkonnen rappresenta un’Ombra genitoriale, soprattutto perché si scoprirà essere suo parente e incarnazione delle pulsioni più recondite del giovane. Alla fine del primo volume della saga, Paul si libererà di queste ingombranti figure e prenderà coscienza di se stesso con l’aiuto di un altro importantissimo personaggio: la madre.
- Lady Jessica, sua consigliera e addestratrice, è una presenza costante nel percorso di Paul e lo aiuta a sbloccare le sue facoltà psichiche in un rapporto maestro-allievo dove quest’ultimo supera il primo e lo spaventa per il livello raggiunto. Il legame che li unisce non viene mai spezzato e si incastra nel complesso edipico teorizzato da Freud secondo cui, eliminata la controparte maschile, il giovane può ricongiungersi alla madre.
L’ecologia
Herbert aveva molto a cuore il problema della desertificazione, infatti l’idea di partenza per il suo romanzo era “Un pianeta che soffre per la mancanza d’acqua. Un popolo spinto alla violenza da questo bisogno. Una cultura, una civiltà che cerca di superare una simile avversità”. Era anche un appassionato tolkieniano e Il signore degli Anelli era stato una grande fonte di ispirazione sia per l’impatto sul genere fantasy, che per i temi ambientalisti trattati.
Su Arrakis l’acqua scarseggia, il pianeta è dominato dal deserto e mancano mari e fiumi. Il pianeta è abitato da vermi giganti per cui la poca acqua presente è nociva; il loro stadio larvale si raggruppa intorno alle pozze d’acqua per incapsularsi e trasformare l’acqua in qualcosa che non danneggi gli adulti e che si trasforma, dopo alcuni processi chimici, in Spezia color porpora.
La contraddizione di Dune sta proprio nel fatto che i vermi muoiono e vivono di acqua, quegli stessi vermi adorati e temuti dai Fremen perché, da un lato producono la Spezia, dall’altro inghiottiscono con le loro bocche giganti tutto quello che percepiscono. Ecco il contrasto che tiene in stallo il pianeta: o l’acqua o la Spezia.
Dal momento che l’acqua è vita, viene conservata maniacalmente dai Fremen che, in tal senso, hanno messo a punto tute e tende distillanti che permettono la sopravvivenza nel deserto ed evitano lo spreco di qualsiasi liquido sia in grado di produrre il corpo. L’acqua è fondamentale alla sopravvivenza della specie umana, ma su Arrakis diventa qualcosa di più, è merce di scambio equiparabile al denaro.
La politica
Quando Herbert scrive il suo romanzo, la crisi missilistica con Cuba agita gli Stati Uniti che, non contenti, ingaggiano la guerra contro il Vietnam nell’anno dell’assassinio di Kennedy. E il monarca afghano Mohammad Zahir Shah entra in affari con l’ei fu Unione Sovietica non sapendo che da lì a breve si scatenerà un conflitto per la conquista del Caucaso (1979 – 1989).
Dune contrappone fazioni tra loro antitetiche come l’Imperatore e il Duca Atreides; a mediare, la Gilda. La politica viene smascherata come teatrino in cui le leggi e la religione, con le sue profezie e il fanatismo che ne deriva, servono a controllare la popolazione. Su Arrakis nulla è mai come sembra.
Nel gioco delle opposizioni, però, le differenze non sono mai marcate perché i concetti di bene e male non sono mai assoluti, ma sempre relativi, soprattutto se finalizzati al potere. Il Duca Leto è un sovrano magnanimo e vicino alla salute dei suoi uomini, ma quanto? Quando rischia la vita sua e dell’equipaggio per salvare i trovatori di Spezia dalla bocca del verme, lo fa mosso da compassione o dalla logica del potere, dal momento che il vero potere su Arrakis è rappresentato dalla Spezia?
Ma è Paul, ancora una volta, a rappresentare l’ambiguità più interessante, trasformandosi in un Messia vendicatore perché, una volta rivelatosi come Muad’Dib, sarà in grado di mostrare la via che prevede ribellione e violenza. In una parola, guerra. Michel Foucalt, in Storia della sessualità, sosteneva che un individuo davanti al potere non si fa servo, ma ne fagocita le dinamiche e le fa sue. Ed è così che Paul siederà sul trono e, meditando vendetta, rovescerà i nemici.
La religione
In Dune le influenze religiose sono tante e ben definite. Sicuramente c’è un richiamo al cristianesimo nel ruolo di Messia che Paul Atreides riveste, così come si pensa che il Kwisatz Haderach somigli concettualmente al Bodhisattva buddista, colui che continua a reincarnarsi per aiutare l’umanità, nonostante abbia già raggiunto l’illuminazione.
Ma è all’Islam che Herbert pone la sua attenzione. I rimandi sono continui sia nei nomi utilizzati che nella ritualità che caratterizza i Fremen, ultima resistenza di Arrakis contro l’Impero colonizzatore che da ottant’anni li schiaccia e governa. Muad’Dib, Fedaykin e Jihad sono alcuni dei termini ricorrenti nel romanzo che somigliano tanto a Mujaheddin, Fedayyin e Jihād, parole che rimandano alla guerra santa condotta da guerrieri pronti al sacrificio pur di seguire il loro capo.
Anche quel fanatismo che li anima nelle cerimonie di conservazione e recupero dell’acqua (soprattutto dai morti) rimanda all’attenzione che la cultura islamica pone nei confronti di un bene così prezioso. Nel romanzo, i Fremen sono gli eroi che attendono il Profeta (Mahdi) per contrastare l’imperialismo e la colonizzazione degli Harkonnen e chi per loro; nella realtà sono i musulmani che si oppongono all’egemonia occidentale e cercano di preservare la ricchezza della loro terra, quella spezia che è il petrolio.
Per questi motivi Paul, sfruttando l’esaltazione e il radicalismo della popolazione Fremen, si trasformerà in un fondamentalista e porterà la Jihad in tutta la galassia, mietendo miliardi di vittime nel nome della libertà. Così Dune diventa un’opera da maneggiare con cura, soprattutto nel momento in cui la si va a trasporre sugli schermi.
Una storia infinita
Adattare Dune sul grande schermo, senza tradirne la filosofia, è molto difficile, il rischio di banalizzare i profondi concetti che lo permeano è alto. Così come alta è la probabilità di renderlo un fantascientifico picchiaduro. Diverse produttori ci avevano provato, come Arthur P. Jacobs che nel 1971 opzionò i diritti cinematografici sul romanzo, ma morì due anni dopo a lavori iniziati.
Memorabile rimane il progetto colossale di Alejandro Jodorowsky, regista cileno famoso per aver girato l’autofinanziato El topo, assurda parabola underground di un pistolero che da uomo si fa talpa per compiere la sua missione. Il regista fu contattato da un consorzio francese per portare aventi i lavori su Dune, ma mise su carta un film da quattordici ore con un cast a dir poco costoso. I produttori gli voltarono le spalle senza sapere che le sue idee andranno a influenzare i successivi film di fantascienza.
Dino De Laurentiis, allora, nel 1978 incaricò Frank Herbert di scrivere una sceneggiatura che sarebbe stata diretta da Ridley Scott ma, davanti alla lentezza delle operazioni, il regista abbandonò la nave e si dedicò anima e corpo a Blade Runner. Il produttore, vicino ormai alla scadenza dei diritti sulla saga e sconfortato dall’essere nuovamente a un punto morto, si affidò alla figlia Raffaella che, dopo aver visto The elephant man (1980), individuò in David Lynch il regista che avrebbe potuto girare il film.
Lynch sbarca su Arrakis
Quando gli propongono di girare il film, David Lynch ha all’attivo due lungometraggi che hanno cambiato il modo di fare cinema, Eraserhead (1977) e il già citato The Elephant man, ha a disposizione uno dei budget più alti della storia di Hollywood, una numerosa crew e un cast stellare: Kyle MacLachlan (Paul Atreides), Kenneth MacMillan (Vladimir Harkonnen), Max Von Sydow (Liet), Sean Young (Chani), Sting (Feyd-Rautha), Brad Dourif (Piter DeVries) e Patrick Stewart (Gurney Halleck).
Il regista non è molto convinto dell’impresa, ma scrive la sua sceneggiatura (leggenda vuole per ben sei volte!) rivolgendo l’attenzione al personaggio di Paul e al viaggio per diventare Kwisatz Haderach, il Messia. La materia spirituale, diversamente da quella fantascientifica, è di grande interesse per Lynch che ha fatto della meditazione trascendentale la sua filosofia di vita.
Chi conosce il regista sa che è un maestro nell’indagare gli angoli più profondi e oscuri della psiche, con le sue assurdità e contraddizioni ma, soprattutto, chi conosce la sua visione del cinema sa che il regista deve lavorare da solo sulla materia visionaria che affolla la sua mente, senza ostacoli sulla sceneggiatura e sul montaggio.
Il minutaggio del suo Dune raggiunge così le oltre tre ore e Dino De Laurentiis, sentendo odore di flop, lo mozza in malo modo per farlo approdare nelle sale con la durata umana di 104 minuti. I tagli subiti sono evidenti, il film sembra eviscerato male e manca continuità tra le scene. Lynch è costretto a girare nuove scene, inserire irritanti spiegoni per far quadrare i conti (prima regola del cinema di finzione? Mostrare, non spiegare) e affidare a Virginia Madsen (la Principessa Irulan) l’introduzione della storia.
L’incasso al botteghino supera di poco i 31 milioni di dollari (non coprendo i 40 spesi), ma per Lynch il film rappresenta la svolta:
“L’esperienza mi ha insegnato una lezione preziosa. Ho imparato che preferisco non fare un film piuttosto che farne uno in cui non ho il final cut“
A causa del film mal riuscito, tra produttore e regista i rapporti si incrinano tanto che quando Lynch lavora a Velluto Blu (1986), De Laurentiis gli offre un budget limitato e un ancora più basso compenso per la regia. Il seguito lo conosciamo tutti: Velluto Blu si inserisce tra i capolavori del cinema con i suoi giochi cromatici e le indagini nel mistero, che verranno portate su un ulteriore piano con Twin Peaks. E De Laurentiis muto.
Opere a confronto
Il film del 1984 presenta evidenti differenze rispetto al romanzo, soprattutto nella seconda parte quando Lynch prende una deriva tutta sua. A mancare del tutto è l’importanza vitale legata all’acqua e il rapporto ambiguo che lega i Fremen ai vermi della sabbia, concetti ridotti a far da sfondo alle battaglie che, se nel romanzo sono secondarie, nel film sono fin troppo presenti e per nulla avvincenti. Esigenze narrative? Bisogno di tenere alta la concentrazione? Non lo sappiamo, fatto sta che manca totalmente la trattazione dell’aspetto psico-ecologico che fa di Dune uno dei migliori romanzi del secolo scorso.
E pensare che, nonostante tale mancanza, alla fine del film accada il miracolo: Arrakis viene investita da una fitta pioggia che porrà fine alla sua caratteristica aridità e permetterà alla vegetazione di crescere. Alla fine del libro ciò non avviene anche perché Paul è in grado di avere visioni grazie all’influenza della Spezia, non di compiere prodigi. Sembra quasi Lynch abbia preso un po’ troppo sul serio il termine Messia…
Da segnalare anche il voiceover dei monologhi interiori con cui i personaggi del romanzo arrivano alla piena consapevolezza delle cose e di loro stessi, ma che sortisce l’effetto contrario: voci fuori campo che disturbano e straniscono lo spettatore rimanendo impresse come la cosa peggiore dell’adattamento.
E Kyle MacLachlan? Ce n’è anche per lui…
Storia di un flop annunciato
A David Lynch non piace parlare del suo film, infatti quando si tocca l’argomento glissa su altro o tace. Povero David… il fiato sul collo delle produzioni è sempre stata una costante nel suo lavoro (il caso più eclatante ha riguardato Twin Peaks) e solo quando ha potuto esprimersi liberamente ha sceneggiato capolavori di un altro livello.
Intervistato da Tim Hewitt, con una voce che si smorza pian piano e lo sguardo che si perde in uno dei suoi dipinti, dirà:
“C’è qualcosa che non va in quel film. Non so cosa, e non sono certo che si possa sistemare. È che, vedi, è così imponente e pieno di cose. Molte parti mi piacciono, ma molte altre no. Ha proprio dei problemi…”
David Foster Wallace, alla sua maniera diretta e senza alcun pelo sulla lingua, ci racconta come sono andate le cose prima e dopo Dune nella raccolta di saggi del 2018 Tennis, tv, trigonometria e tornado (e altre cose divertenti che non farò mai più). Per lui, il film è bruttarello, ma bruttarello forte e uno dei grandi difetti è quel nerd con la faccia da patata di Kyle MacLaclan che, diciamolo, è molto più a suo agio in ambientazioni noir con giacca e cravatta. Kyle rimarrai per sempre Dale Cooper. Con affetto.
Dalle critiche non è esentato neanche Sting che non ha saputo dare a Feyd-Rautha il giusto spessore da villain, riducendolo a caricatura di se stesso, scimmiottando combattimenti e ammiccando spesso in camera.
“Lo dico sempre: Dune rappresenta una grande e colossale tristezza della mia vita“
A peggiorare la situazione, la critica feroce del pubblico e della comunità gay per aver dipinto il Barone Harkonnen come un omosessuale crudele che aggredisce un giovane restio ad aver rapporti con lui uccidendolo, e per averlo rappresentato con le piaghe simili a quelle dei malati di AIDS, in anni in cui il tema era fortemente dibattuto e particolarmente sentito.
Il sequel mai realizzato
Con queste premesse è inutile stupirsi se il sequel di Dune non sia mai stato girato, anche se Lynch aveva già scritto metà della sceneggiatura, MacLachlan già scritturato, modellini, oggetti di scena e costumi conservati nei magazzini.
“Scrissi metà della sceneggiatura per il secondo Dune. Mi ero appassionato molto perché non era una storia epica, più che altro mi ricordava una faida di quartiere. C’erano molte cose davvero belle”
Il regista era stato aiutato dallo stesso Herbert che gli aveva fornito preziosi consigli per meglio trasporre Messiah, uno dei romanzi meno cinematografici della saga, incentrato sui conflitti interiori di Paul, riluttante alla carica ricoperta e che, per questo motivo, si trasforma pian piano in un tiranno. Probabilmente questo sarebbe stato migliore del prequel e avremmo potuto godere di un Lynch in gran forma.
Nel 2000, John Harrison (aiuto regista di George A. Romero) prende in mano il romanzo e decide di serializzarlo con Dune – Il destino dell’universo, serie dimenticabile interpretata, fra gli altri, da William Hurt nei panni del Duca Leto e il nostrano Giancarlo Giannini in quelli dell’Imperatore. Non contenti, tre anni dopo, lo stesso Harrison con il regista Greg Yaitanes realizza un’ulteriore miniserie, I figli di Dune, che porta a casa un Emmy Primetime, importante premio televisivo statunitense.
Purtroppo le serie si discostano dai romanzi e si avvicinano molto alle atmosfere lynchiane, sacrificando i monologhi interiori per i dialoghi tra i protagonisti e, quindi, omettendo l’introspezione fondamentale nella saga per i motivi di cui sopra. Dune non si muove di un passo, ma rimane esattamente in quelle stesse sabbie mobili che non gli rendono giustizia.
L’eredità di Herbert
Dopo una serie di sfortunati eventi, finalmente arriva Denis Villeneuve, uno dei migliori registi di fantascienza in circolazione, che è riuscito ad adattare bene il romanzo di Herbert riportando, abbastanza fedelmente, il percorso di Paul Atreides e le manipolazioni della Scuola Bene Gesserit sulle vulnerabili menti dei Fremen.
Dopo Dune – Parte Uno e Parte Due, sta attualmente lavorando al terzo capitolo tratto dal romanzo Dune – Messiah, ambientato dodici anni dopo gli eventi del secondo capitolo. Il regista ha una grossa responsabilità sulle spalle, perché il pubblico e la critica si aspettano molto dalla conclusione della trilogia.
“Avrà assolutamente senso per me fare questo film. Messia di Dune è in fase di scrittura proprio adesso. La sceneggiatura è quasi finita, ma non è finita. Ci vorrà un po’ di tempo.”
Nell’attesa, consiglio di guardare il Dune di Lynch con occhi magnanimi considerandolo per quello che è: un nostalgico bel pasticcio a cui non si può non voler bene, esagerato e visionario come solo una mente geniale quale quella di David Lynch poteva partorire. E poi diciamolo, come ha reso profondo il blu degli occhi dei Fremen, nessuno mai…