Quarant’anni e non sentirli. Il 10 Aprile 1981 esordiva nelle sale statunitensi Excalibur, e da allora l’immaginario popolare del mito di Re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda non ha più trovato un degno rivale. Questa sontuosa e peculiare trasposizione emana un fascino unico ed è considerata ancora oggi la versione cinematografica più riuscita del celebre Ciclo Arturiano.
Nobili origini
Il film si basa su Le Morte d’Arthur, scritto da Sir Thomas Malory nel 1470 e pubblicato per la prima volta nel 1485. Questo testo tardomedievale reinterpreta la “materia di Bretagna”, rimaneggiando anche i contenuti delle precedenti opere di Goffredo di Monmouth e di Chretien de Troyes, e ha avuto il grande merito di aver ispirato quasi tutte le produzioni letterarie e cinematografiche successive, cementificando l’immaginario diffuso sul tema. Tra le molte citiamo uno dei più grandi fantasy della storia del ‘900, The Once and Future King (in Italia conosciuto come “Re in eterno”) di Terence Hanbury White, ma anche opere filmiche come il King Arthur di Guy Ritchie del 2017.
Anelli e spade
Excalibur nasce dalla collaborazione tra due creativi inglesi, il regista John Boorman e lo sceneggiatore Richard “Rospo” Pallenberg. Nel corso della carriera questi due autori, assieme o individualmente, hanno perseguito progetti ambiziosi tratti da importanti romanzi; Boorman tentò di portare al cinema la prima trasposizione de Il Signore degli Anelli, mentre Pallenberg si approcciò alla produzione di un film su Dune nei primi anni ’70.
Come accade spesso nell’arte, future pietre miliari nascono da coincidenze fortunose. Boorman aveva in mente le leggende di Camelot fin dagli anni ’60, ma la United Artists lo fece desistere proponendogli invece un film sulla Terra di Mezzo, e fu in quell’occasione che nacque il sodalizio con Pallenberg. Il copione che i due scrissero per quasi un anno, cercando di condensare in tre ore l’opera magna di Tolkien, ha assunto portata quasi leggendaria: l’ambizione del colossal e i controversi cambiamenti che entrambi intendevano apportare al materiale originale hanno alimentato discussioni tra i patiti del genere per anni.
Fu così che la cancellazione di quel film portò indirettamente alla genesi di due perle del fantasy cinematografico. Da una parte, dalle ceneri del progetto originale di Boorman nacque, dopo vari cambi di rotta, il lungometraggio d’animazione Il Signore degli Anelli del 1978, diretto da Ralph Bakshi. Dall’altra, Boorman mise a frutto l’esperienza acquisita per raccontare le gesta di Artù e anni dopo girò il suo Excalibur.
Visioni d’altri tempi
La resistenza alla prova del tempo di questa pellicola risiede in diversi elementi. Il casting fu particolarmente brillante, con l’ingaggio di interpreti giovani e non troppo conosciuti che negli anni seguenti avrebbero acquisito fama a livello internazionale (Liam Neeson, Gabriel Byrne, Helen Mirren, Ciarán Hinds). L’ensemble britannica poteva contare anche su attori con una solida formazione teatrale, come Patrick Stewart.
Le musiche risultarono un altro fattore vincente. La colonna sonora originale fu composta da Trevor Jones, che avrebbe legato il suo nome ad altri film fantasy quali The Dark Crystal e Labyrinth; caso vuole che nel 1998 il compositore si ritrovò a lavorare anche all’apprezzata miniserie tv Merlino. Tuttavia a rendere indelebile la soundtrack fu il mix micidale voluto da Boorman, che includeva anche brani di Richard Wagner, e soprattutto i Carmina Burana di Carl Orff: la versione musicale di “O Fortuna” che tuona durante i momenti più concitati del film si è impressa in maniera indelebile nella cultura pop.
La caratteristica più incisiva del lungometraggio per molti rimane senza dubbio la sua estetica. La fotografia e la messa in scena resero il look del film incredibilmente distintivo, al punto da risultare lontano tanto dai canoni dell’epoca quanto da altri lavori successivi dello stesso filone. Superficialmente oggi si potrebbe dire che Excalibur sia un film abbastanza invecchiato, in realtà il suo impatto visivo ne ha cristallizzato la forma fuori dal tempo.
L’atmosfera di magia e misticismo che pervade le scene con la mitica spada ad esempio fu ottenuta con i set retroilluminati da luci verdi; un’illuminazione dorata invece fu usata sulle mura di Camelot per conferire un’aura solenne al regno di Artù. Le armature dei personaggi furono realizzate in alluminio e il loro costante scintillio – uno degli aspetti memorabili delle pellicola – era dovuto a diversi riflettori puntati appositamente su di esse (e a una pulizia maniacale dopo ogni ripresa!).
Le avventure di Artù e Merlino sono state e saranno sempre fonte di inesauribile ispirazione per il cinema, attraverso continue reinterpretazioni. A pochi anni dalla cancellazione del più recente adattamento già si discute di possibili nuove direzioni. Eppure Excalibur rimane un unicum nella lunga lista di rappresentazioni di questa epopea, un’opera che non teme confronti perché li ha resi inutili fin dal principio. Che altro vi serve sapere per rivederlo ancora una volta?
Articolo a cura di Riccardo De Franco e Matteo Filicetti