ALLERTA SPOILER
Avvicinarsi per la prima volta ad un gioco di cui purtroppo si conosce tutto è sempre assai arduo, soprattutto nel caso in cui si voglia poi andare ad esprimere un giudizio quanto più oggettivo possibile. Risulta ancor più enfatizzato il suddetto concetto, se prendiamo in considerazione il tempo passato dall’uscita del videogioco in questione, e di conseguenza il quasi immediato paragone con i giochi attuali. L’impatto che The Last of Us ha avuto è stato determinante.
Di certo non si sono sprecati i voti più che positivi della critica, e il giudizio entusiasta del pubblico nel corso di questi anni, ma una volta finito il gioco non si può fare a meno di domandarsi: è tutto meritato? Analizzando la questione da un punto di vista meramente commerciale, The Last of Us è una grande vittoria – l’immediata remastered per PS4 ne è una conferma – ma la quantità non vince di certo sulla qualità.
Il gusto di una trama semplice
Il vero motore trainante di The Last of Us è senza dubbio la narrazione. La natura molto narrativa del gioco permette alla storia di ergersi al di sopra del comparto grafico e del gameplay. Pur essendo molto semplice – rivelandosi il più delle volte banale, con risvolti molto scontati – la qualità della narrazione è eccellente.
La costruzione dei personaggi è impeccabile, con un’attenzione particolare ovviamente sui due protagonisti, infatti Joel ed Ellie appaiono caratterizzati meglio risultando le colonne portanti della storia. Tutto ciò che li circonda è di contorno, con l’epidemia – che ha portato la razza umana quasi all’estinzione – diventata un semplice espediente narrativo per far partire la storia. Il focus del gioco è sul rapporto tra i due protagonisti, specie in relazione al susseguirsi degli eventi tragici intorno a loro; questi, grazie soprattutto ad una narrazione cristallina, permettono alla relazione di essere un continuo crescendo, in grado di far immedesimare il giocatore in entrambi i personaggi.
Il reale problema dunque non è relativo alla narrazione ma alla trama in sé. L’iniziale rapporto conflittuale tra Joel ed Ellie – nato soprattutto dalla rabbia e dalla frustrazione di lui per la prematura dipartita della figlia – ed il successivo avvicinamento è purtroppo un storia già vista. Tutto il suo sviluppo non sfugge da una banalità che di certo non rovina l’esperienza di gioco, ma ostacola la presenza di quel quid in più di cui avrebbe sicuramente bisogno.
Nel prologo vediamo anche il rapporto tra Joel e il fratello – notando subito quello che è il tipico legame fraterno – che si deteriora a causa di avvenimenti che il giocatore non vive, ma lo sviluppo che subirà è anch’esso scontato. Purtroppo anche gli altri personaggi sono figli dello stesso problema, identificando perfettamente gli stereotipi tipici di una storia post-apocalittica: gli umani sono più mostri dei mostri stessi, la società non ha imparato nulla dagli errori precedenti, e alla fine quelli che si pensava fossero i buoni in realtà lo sono solo in parte.
Ultimo ma non per importanza è il finale. Una fine non è mai facile, immaginata più e più volte nella mente non potrà mai soddisfare le aspettative, finendo il più delle volte per deludere (semi cit.). Per descrivere il finale di The Last of Us potremmo tranquillamente utilizzare l’espressione: compitino per casa. La conclusione non può certo essere giudicata in maniera negativa, visto e considerato che è coerente con tutto ciò che è stato mostrato precedentemente, ma non fa nulla per sorprendere lasciando il giocatore con un po’ di amaro in bocca. Per estrapolare la cura dal corpo di Ellie, la sua morte è quasi ovvia, tanto ovvia come la reazione da parte di Joel, che non vuole vedere morire un’altra figlia. La conseguente eliminazione di tutti quelli che sembravano essere i buoni è lapalissiana, ma nonostante tutto non è una nota negativa così importante. Per quanto triste, una consenziente morte di Ellie per salvare la razza umana avrebbe avuto un significativo impatto, creando un grande colpo di scena e scacciando una prevedibilità così onnipresente.
Qualità cinematografica a scapito delle meccaniche di gioco
Nonostante un alto livello di qualità narrativa – che nulla ha da invidiare alle grandi produzioni hollywoodiane – la perfezione è lungi dall’essere raggiunta. L’eccessiva resa cinematografica – accusa spesso mossa alla Naughty Dog – non porta un reale vantaggio. Per quanto entrambi possano essere definiti arte, il cinema e il videogioco sono due media molto diversi tra loro, e le esperienze che regalano, infatti, si trovano agli antipodi: l’avvicinamento ad una delle due può andare a minare la qualità dell’opera, in special modo nella parte relativa al gameplay.
Nonostante una buona varietà che ci permette di scegliere tra un approccio più stealth e uno più movimentato, si tenderà a scegliere sempre quello più silenzioso. Ben costruito e ben equilibrato, quest’ultimo sarà il modo più semplice e efficace per abbattere gli avversari, se si è muniti di buona pazienza. Ovviamente il modo di giocare cambierà una volta presa coscienza delle diverse intelligenze dei nemici: gli umani tenderanno ad avere un approccio molto più tattico alla battaglia, che spesso ci costringerà ad usare le maniere forti; con i mostri invece questo succederà solo ed esclusivamente se essi ci noteranno, diventando più aggressivi e feroci. Non di contorno è la meccanica di costruzione e potenziamento di oggetti e armi, che è fondamentale a prescindere dal metodo scelto di attacco.
Nonostante dunque nessuna critica fondamentale al gameplay – fatta eccezione per i momenti in cui Ellie passerà davanti i nemici senza farsi notare – questo non brilla per innovazione, andando a sottolineare ancor di più quella volontà degli sviluppatori di spingere il più possibile il pedale sul comparto narrativo.
L’aspetto che più di tutti però è immune da critiche è quello tecnico. La qualità grafica e sonora del titolo è quasi perfetta. Che si tratti infatti di un ambiente naturale, un agglomerato di abitazioni o l’interno di una casa, i dettagli sono elevatissimi, il tutto contornato poi da una stupenda colonna sonora.
Pensiero finale
Per quanto paradossale possa sembrare, giocare The Last of Us oggi assume un significato ancora maggiore rispetto a quanto ne aveva all’uscita. Ci troviamo purtroppo in una generazione in cui i soldi fanno da padroni e l’assenza di creatività affligge quasi tutte le software house; non è un caso infatti che i migliori giochi di questa generazione siano dei seguiti. Questo titolo quindi, che ha avuto il merito di riscrivere in positivo la storia di Playstation 3, stupisce ancora di più se giocato adesso.
Provando un momento a paragonarlo con un gioco attuale come Death Stranding, possiamo notare non solo i difetti narrativi dell’opera di Kojima, ma riusciamo anche a capire quanto poco sarebbe bastato a The Last of Us per sorprendere il giocatore. Se le qualità del primo fossero state date anche al secondo e viceversa avremmo senza dubbio avuto due giochi in grado di entrare di diritto nell’Olimpo del videogioco.
Al di là comunque di ogni analisi che può essere fatta a posteriori, The Last of Us è da ritenere un grande gioco, che nel bene o nel male ha avuto un impatto importante all’interno dell’industria videoludica. Volendo per un momento provare a dare un valutazione numerica, un voto tra 7 e 8 è senza la minima ombra di dubbio quello più giusto, voto per un gioco validissimo ma sopravalutato a prescindere dall’epoca in cui è giocato.