Go Nagai, maestro del fumetto giapponese, rivisita la Commedia di Dante Alighieri? Si… e ci regala un’opera da cui non si può prescindere e che, in occasione del Dantedì 2024, vorrei farvi conoscere.
Andiamo per gradi e partiamo da dove tutto è cominciato.
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ToggleChi è Dante Alighieri
Il Sommo Poeta ha bisogno di poche presentazioni. Nato a Firenze (probabilmente) nel 1265, è il padre della lingua italiana, fondatore dello stilnovismo, autore di un pilastro della letteratura, la Commedia, e guelfo agguerrito.
L’italiano… questo sconosciuto
Chiariamo subito un concetto: Dante non ha inventato la lingua italiana, ma ha posto le basi per permetterle di crescere. La storia della nostra lingua è lunga e complessa ed è il frutto di incontri, scambi, modifiche che sono tuttora in atto e mai si fermeranno. A meno che non decideremo, un giorno, di non esprimerci più se non a gesti.
Quando Dante scrisse le sue opere, aveva due alternative: usare il latino, lingua letteraria ufficiale, o il volgare adottato dal popolo. Il Poeta optò per utilizzarli entrambi perché le sue opere si rivolgevano a un pubblico eterogeneo. La svolta si ebbe quando redasse il De vulgari eloquentia, un trattato tecnico sul buon uso del volgare fiorentino e sui motivi per cui il latino dovesse essere “relegato” all’ambiente curiale e notarile. Inutile dire che il trattato fu scritto in latino perché indirizzato a quanti alla lingua edotta proprio non volevano rinunciare.
Quella che oggi parliamo è la lingua su cui Dante aveva cominciato a lavorare, affiancato dalle altre due corone Petrarca e Boccaccio, ognuno a modo suo e nei generi che più gli si confacevano. In questo senso, menzione d’onore va anche al Manzoni, il cui lavoro linguistico è stato riconosciuto con la carica di Senatore a vita. I Promessi Sposi è un’opera di revisione linguistica camuffata da fiction per renderla accattivante al popolo e non è un caso se il milanese sia andato giù a Firenze per “sciacquar i panni in Arno“, liberarsi dai francesismi che caratterizzavano la lingua lombarda del tempo e donarci un’opera comprensibile a livello nazionale.
Il Dolce Stil Novo
Mentre Federico II di Svevia fondava la Scuola Siciliana e Guittone d’Arezzo ne perseguiva l’opera con i rimatori toscani, Dante conosceva l’amico Guido Cavalcanti e assieme ponevano le basi per la corrente amorosa vincente, quella che ha reso la donna uno spirito angelico in grado di elevare l’uomo a creatura nobile e illuminata. Il Dolce Stil Novo seguiva poche, ma semplici, regole:
- Amore come momento di elevazione spirituale;
- Caratterizzazione della donna come essere dall’animo puro e gentile;
- Ricorso a uno stile semplice, epurato da dialettismi e provenzalismi.
A ispirare sonetti e canzoni è stata la figura di Beatrice Portinari, incontrata per la prima volta all’età di nove anni e poi ancora molto tempo dopo, prima di vederla svanire per sempre, portata via da una malattia. L’amore che si accese nel cuore di Dante fu di natura spirituale e interpretato come un valore assoluto che torna solo agli uomini dal “cor gentile” (di qui, il carattere elitario dell’amore inteso dai poeti stilnovisti, non accessibile ai più); il saluto dell’amata si carica di un valore spirituale che allude alla sua natura divina di donna – angelo. Amare, per Dante, significa raggiungere la piena nobiltà d’animo e incamminarsi verso la salvezza.
La Comedìa
La Commedia, ribattezzata “Divina” dal Boccaccio, è un’opera mastodontica redatta in volgare fiorentino, una lingua così sfaccettata da rendere qualsivoglia sentimento umano. Narra di un viaggio attraverso la dannazione e la stasi per rinascere a nuova vita, liberi dal peccato. Per raccontarlo c’è bisogno di flessibilità linguistica ed ecco che Dante si inventa tre stili, tre registri e tre toni, uno per ogni cantica:
- Nell’Inferno la lingua adottata è quella comune, spesso volgare perché il Regno è abitato da vili peccatori. Non dovrà stupirci sentire il Sommo pronunciare parole come “culo“, “merda” e “puttana“.
- Nel Purgatorio il livello linguistico si fa medio perché siamo nella cantica di mezzo, dove i peccatori hanno riconosciuto la grandezza di Dio in punto di morte pentendosi. Non ci sono dannazioni eterne, urla e punizioni esemplari, ma un lento cammino lungo la montagna nell’attesa di vedere l’Altissimo;
- Nel Paradiso, al cospetto dei beati e degli angeli, il tono non può che essere elevato e sublime, di difficile accesso ai più se non dietro opportune ricostruzioni sintattiche.
Guelfi VS Ghibellini
Dante non è stato solo un letterato, ma anche un attivo uomo politico, attento al destino della sua Firenze che, nonostante tutto, gli si è rivoltata contro esiliandolo.
Dal momento che il potere centrale era molto lontano dal nord Italia, qui poterono svilupparsi realtà autonome e indipendenti, i Comuni. Presto, soprattutto quelli toscani, iniziarono a combattere tra di loro per ingrandirsi. Il Comune di Firenze visse lo scenario peggiore perché non era solo diviso tra Guelfi (sostenitori del Papa) e Ghibellini (sostenitori dell’Imperatore), ma si crearono fazioni interne ai Guelfi stessi: da una parte i Bianchi che facevano capo alla famiglia Cerchi e curavano gli interessi del popolo grasso (mercanti e ricchi finanzieri), dall’altra i Neri che, guidati dai Donati, sostenevano il ritorno della nobiltà ed erano appoggiati dal Papa.
Dante si schierò dalla parte dei Bianchi perché riteneva opportuno che il Papa guidasse le anime e non interferisse con le vicende politiche, in nome dell’autonomia del Comune. Sono gli anni dell’infinita lotta tra potere temporale e spirituale.
Dopo aver militato tra le fila dell’esercito a Campaldino e Caprona nel 1289, venne eletto priore e inviato come ambasciatore dei Bianchi a Roma, per dissuadere il Papa dall’inviare a Firenze il suo alleato Carlo di Valois. Mentre Dante era occupato a trattare, Bonifacio VIII si guadagnava il suo posto all’Inferno: diede il via libera al francese che entrò nella città e schiacciò la parte bianca, esiliandone i maggiori rappresentanti, Dante compreso. Cominciano gli anni dell’esilio che, dal punto di vista letterario, saranno i più prolifici.
Ospitato a Verona da Cangrande della Scala, metterà mano alla maggior parte delle sue opere, compresa la Commedia, il cui Paradiso sarà dedicato proprio al suo benefattore. Nell’Epistola XIII si legge:
«[…] sovente ho esaminato i miei piccoli regali e li ho differenziati e poi vagliati, alla ricerca del più degno e gradito a voi. E non ne ho trovato uno adeguato alla vostra eccellenza più di quella sublime cantica della Commedia che si intitola Paradiso. E questa, con la presente lettera, come a Voi consacrata con propria epigrafe, a Voi la intitolo, la offro, la raccomando»
La Divina Commedia: il poema
Dante inizia la stesura della Commedia intorno al 1304 – 1307 e vi lavorerà fino alla sua morte, avvenuta il 13 o 14 settembre del 1321. Si tratta del resoconto dettagliato del viaggio che il poeta compie attraverso i tre regni dell’oltretomba, guidato da Virgilio e Beatrice. L’esperienza, però, non è solo individuale: il verso di apertura “nel mezzo del cammin di nostra vita” ne allarga il senso a ogni cristiano, che con quel “nostra” ne è coinvolto a pieno titolo.
Dante sente il bisogno di purificarsi e trovare la retta via smarrita dopo la morte della sua amata Beatrice, che gli è costata la perdita della fede e l’avvicinamento a una materia oscura e poco accettata: la filosofia, che nell’iconografia è rappresentata come una donna discinta e senza veli, in netta opposizione ai precetti religiosi impartiti all’epoca a ogni buon fedele.
Chiariamo subito una cosa. Sarebbe plausibile che il viaggio di Dante cominci il 25 marzo del 1300, stando alle indicazioni fornite nell’opera. Ai versi 37 – 40 del I canto specifica che il momento esatto in cui appare la lonza è alle prime ore del mattino quando nel cielo è visibile la costellazione dell’Ariete, quindi durante l’equinozio di primavera. Più avanti, ai versi 112 – 144 del XXI canto, il diavolo Malacoda racconta che il ponte tra le bolge infernali crollò alla morte di Cristo, avvenuta 1266 anni e cinque ore prima di quel momento preciso.
Nel Medioevo si riteneva che Cristo fosse morto al compimento dei 34 anni dall’incarnazione fissata, a partire dalla natività del 25 dicembre, al 25 marzo, giorno vicino all’equinozio di primavera. Secondo alcuni studiosi, la data è suscettibile di scarto e andrebbe fissata al venerdì santo del 1300 che cadde l’8 aprile. Sul motivo per cui Dante partì in quest’anno particolare, invece, ci sono pochi dubbi perché nel 1300 si tenne il primo Giubileo della Chiesa Cattolica e per i fedeli significava abbreviazione delle pene e apertura delle porte dell’aldilà per tutti. Insomma, per Caronte, un bel lavoro…
L’universo dantesco si basa sulla teoria geocentrica che poneva al centro del sistema planetario la Terra immobile e credeva nell’esistenza di luoghi fisici – tre in particolare – destinati alla permanenza, eterna o temporanea, delle anime. Nella divisione che andremo ad analizzare, occorre tenere presente che la Terra era divisa in due parti: emisfero delle acque ed emisfero delle terre emerse dove vivevano gli uomini e, al centro di quest’ultimo, Gerusalemme.
Inferno
L’Inferno è immaginato come una profonda voragine a forma di imbuto prodotta dalla caduta sulla terra di Lucifero. È diviso in quattro settori che più digradano più diventano piccoli perché ci si avvicina al Diavolo, dove sono puniti i peccati più gravi. Le quattro zone comprendono peccati di varia natura:
- Incontinenti: coloro che non riuscirono a contenere il richiamo del corpo, dalla fame alla lussuria, dall’ira all’avarizia;
- Violenti: coloro che fecero del male a se stessi, agli altri e a Dio in molte forme, dalla bestemmia alla sodomia;
- Fraudolenti: coloro che ingannarono il prossimo mossi dalle più bieche motivazioni;
- Traditori: coloro che non tennero giuramento al valore etico primigenio, la fedeltà verso i legami di sangue e l’ospitalità.
Purgatorio
Il Purgatorio è speculare al regno dei dannati e si formò, anch’esso, dopo la caduta di Lucifero perché, per ribrezzo nei suoi confronti, la Terra si ritirò letteralmente in senso contrario nell’emisfero delle acque e così si generò il monte diviso in tre zone:
- Antipurgatorio: vi risiedono gli spiriti pentitisi solo in punto di morte e gli scomunicati che devono restare in questa zona trenta volte gli anni della scomunica;
- Purgatorio: formato da sette cornici concentriche che salgono verso la cima a mo’ di spirale, ospita le anime degli incontinenti sottoposti a pene più blande dei rispettivi peccatori infernali;
- Paradiso terrestre: l’Eden perduto da Adamo ed Eva è l’ultimo passo che le anime devono compiere per espiare i propri peccati. Qui Dante verrà immerso in due fiumi, il Lete e l’Eunoè, per cancellare la memoria del peccato e ricordare quanto di giusto abbia fatto in vita; solo in questo modo potrà ascendere in Cielo ed essere ricevuto al cospetto di Dio, accompagnato da Beatrice.
Paradiso
Infine, il Paradiso, la città celeste che accoglie i giusti nell’Empireo, dove risiede anche Dio. Non tutte le anime hanno raggiunto lo stesso grado di beatitudine, quindi vengono collocate nei nove cieli concentrici posti oltre la Sfera del fuoco. I temi maggiormente discussi dal poeta riguardano la teologia, la politica e l’ineffabilità di render conto, con parole umane, di un’esperienza così straordinaria. Ciò che è grande nella nostra mente, rischia di essere immiserito dalle parole, ma la poesia giunge in nostro soccorso e ci permette di dire l’indicibile.
Sul Paradiso circola una leggenda che vede coinvolto Boccaccio, Jacopo Alighieri e gli ultimi tredici canti del poema che sparirono misteriosamente. Nel Trattatello in laude di Dante, Boccaccio racconta del mancato ritrovamento di alcuni canti del Paradiso e di come Jacopo abbia sognato il padre defunto che gli indicava il luogo dove cercarli: “in quella camera dove era uso di dormire quando in questa vita vivea”. Nel sogno Dante prendeva per mano il figlio e lo conduceva nella stanza segreta; nella realtà, questi e il notaio Giardino trovarono “una stuoia, al muro confitta e […] alquante scritte, tutte per l’umidità del muro muffate e vicine al corrompersi […] li tredici canti tanto cercati».
Che sia vero o no, ci piace credere al dialogo onirico tra i vivi e i morti, in pieno stile dantesco.
Chi è Go Nagai
Kiyoshi Nagai (in arte Go Nagai) nasce a Wajima nel 1945 e oggi è considerato il più grande mangaka di tutti i tempi. Sin da ragazzo è stato affascinato dal disegno tanto da abbandonare gli studi e dedicarsi al fumetto, nonostante l’opposizione della famiglia; pare, infatti, che la madre chiamasse tutte le case editrici a cui il figlio mandava i lavori pregandole di rifiutarli. In famiglia però c’era chi credeva in lui: il fratello gli regalò una versione della Commedia di Dante illustrata da Gustave Doré e Nagai capì quale sarebbe stata la sua strada.
“Ero ragazzo quando i miei fratelli portarono a casa un’edizione della Divina Commedia illustrata da Gustave Doré. Desiderai immediatamente poter disegnare come faceva lui. […] Fu soprattutto l’immagine di Lucifero tricipite incastrato nel ghiaccio a colpirmi tanto da rimanermi per sempre incisa nella memoria”
L’approdo al manga: i mecha
Prima di “partorire” il personaggio più dantesco che esista, sarà assistente di Shotaro Ishinomori (Cyborg 009 e Ryu il ragazzo delle caverne) e si cimenterà nel suo primo manga Meakashi Porikiki. La direzione che il disegnatore vuole prendere è evidente: introdurre i mecha nei fumetti destinati agli adolescenti. Dopo aver fondato la Dynamic Production nel 1970, può liberamente adattare i suoi lavori su carta e video; Go Nagai, infatti, è autore sia di manga che di anime.
In questo clima, nascono capolavori di genere come Mazinga Z, Jeeg robot d’acciaio e Ufo Robot Goldrake che hanno aperto la stagione della “robot-mania”. Mazinga Z è stato il primo cartone con protagonisti robot controllati da esseri umani, trasposto poi in una versione cartacea fedele, ma decisamente più violenta; in Jeeg robot d’acciaio il pilota si trasforma nella testa del robot, mentre gli altri componenti gli si agganciano a mo’ di magnete; Goldrake, invece, entra ed esce da una navicella spaziale che funge da armatura e mezzo di trasporto.
L’approdo al manga: la sessualità
Quanto alla sessualità, già nel 1968 aveva creato La scuola senza pudore, scatenando la protesta della PTA (Associazione genitori-insegnanti) per l’eccesso di nudità e la critica al sistema educativo giapponese. Ma è il 1972 l’anno della svolta perché Go Nagai crea Cutie Honey, incentrato su una giovane ragazza bionda che ha il potere di trasformarsi (grazie a un congegno inserito nel suo corpo dal creatore-padre) in una super eroina dai capelli rossi e dalle grandi abilità. Honey frequenta una scuola cattolica il cui personale femminile è omosessuale ed è spesso poco vestita e molto maliziosa negli atteggiamenti; inutile dire che in Italia il prodotto non sia mai stato distribuito se non su qualche rete privata.
Mentre Honey fa mostra del suo corpo durante le trasformazioni, in Kekko Kamen la nudità è molto più accentuata perché la protagonista combatte vestita di una sola maschera, dei guanti e degli stivali rossi. Si tratta di un’eroina misteriosa che protegge la protagonista della serie, Mayumi Takahashi, che frequenta l’Istituto Sparta dove un gruppo di loschi individui tortura e umilia gli studenti.
Occorre specificare che non si tratta di hentai perché il tema erotico è sempre trattato in modo ironico e parodistico e mancano scene esplicite, ma l’obiettivo di Go Nagai di sdoganare il sesso dai prodotti per i più giovani è raggiunto.
Mao Dante e Devilman
Dalla lettura della Commedia, Go Nagai trasse ispirazione per alcuni dei suoi personaggi più emblematici, Mao Dante e Devilman. Il primo viene pubblicato nel 1971 e pone le basi per la mitologia che sarà portata a compimento con il secondo. Ryo Utsugi è un giovane adolescente tormentato da incubi che lo porteranno a fondersi con Dante, campione fra i demoni. L’obiettivo del protagonista è quello di sconfiggere i Quattro Grandi Distruttori al servizio di un Dio malvagio proveniente dallo spazio. L’opera resterà incompiuta per la chiusura della rivista che lo pubblicava (sotto pressione per le critiche aperte a Nagai) a differenza della versione animata del 2002, autoconclusiva con i suoi 13 episodi.
Anche al centro di questa vicenda c’è una trasformazione perché quando il Supremo Dante si rivela appare come un gigantesco mostro con gambe da rapace, ali da pipistrello e un piccolo volto umano con occhi iniettati di sangue. A caratterizzare l’opera, il rovesciamento dei ruoli: Dio è un’essenza cosmica maligna e distruttiva, Dante/Ryo e i suoi alleati sono eroi positivi.
Capolavoro indiscusso del maestro è, sicuramente, Devilman, pensato per la versione anime prima, manga poi. Tre i temi ricorrenti dell’opera e motivo di apprezzamento del grande pubblico: il sesso, la violenza e i mostri. Tra le due versioni ci sono leggere differenze perché quella animata era pensata per un pubblico più vasto incline al lieto fine; quella cartacea era più feroce e violenta, piena del risentimento maturato nel corso degli anni dall’autore contro il perbenismo dilagante dei benpensanti.
Devilman: l’anime
Durante un’escursione in montagna, il giovane Akira Fudo è vittima di un incidente e del suo corpo prende possesso Devilman, l’uomo-diavolo, il cui obiettivo è diffondere il caos per conto di Zenon, re dei demoni. Devilman, vivendo la vita di Akira, si innamora di Miki, si affeziona agli umani e decide di schierarsi dalla loro parte, nell’incessante lotta tra bene e male. La vittoria permetterà al protagonista di vivere, per sempre felice, con la sua amata.
Devilman: il manga
Ryo, amico d’infanzia di Akira, lo informa che suo padre, prima di togliersi la vita, aveva rinvenuto un’antica maschera di pietra che testimoniava l’esistenza dei demoni ancor prima della comparsa dell’uomo sulla Terra. Questi avevano imparato a fondersi con gli essere umani per accrescere i propri poteri e sopravvivere. Ryo propone ad Akira di sottoporsi a un rito per permettere la fusione, ma qualcosa va per il verso sbagliato e il risultato è Devilman: una creatura mostruosa incline alla violenza più efferata.
Ryo si rivela essere Lucifero, l’arcangelo che si era ribellato al suo Dio che voleva cancellare la stirpe dei demoni. Tra i due scoppierà una battaglia lunga vent’anni durante la quale perderà la vita Miki, l’amata di Akira. Anche quest’ultimo morirà e, dopo aver assistito indifferente, il Dio creatore scenderà sulla Terra per ristabilire l’ordine con la sua schiera di Angeli celesti.
Nelle due opere si intravedono tematiche dantesche che Go Nagai ha portato in Giappone e rivisitato nella sua versione della Divina Commedia.
La Divina Commedia: il manga
L’ammirazione per Dante Alighieri e il suo capolavoro spingono Go Nagai a rivisitare la Commedia, partendo dalle cupe, ma efficacissime, illustrazioni a là Gustave Doré e alternandole a quelle più in stile manga. L’opera venne pubblicata in tre volumi tra il 1993 e il 1994, mentre in Italia è stata edita dalla d/visual tra il 2003 e il 2004 e dalla JPop nel 2014 in formato Omnibus.
Gran parte dell’opera è occupata dall’Inferno (506 tavole) mentre le altre sono limitate a poche decine di pagine finali (189 per il Purgatorio, 68 per il Paradiso). La scelta è dettata dalla predilezione dell’autore per la materia infernale e dal fatto che questa si presti maggiormente a rappresentare il realismo figurale che permea la Commedia.
Più che di una fedele rivisitazione, dovremmo parlare di omaggio, infatti il titolo originale del manga è Dante Shinkyoku, espressione con cui si indica la tradizione letteraria giapponese che rimaneggia i “canti divini” di Dante Alighieri, li “traduce” con il mezzo visivo e li adatta a una cultura altra.
Come tale, l’opera di Go Nagai presenta divergenze rispetto all’originale, ma non solo.
Differenze con l’originale
Tra la Commedia di Dante e la Divina Commedia di Go Nagai ci sono differenze irrisorie e del tutto accettabili se contestualizzate al pubblico a cui l’opera è destinata.
All’inizio del manga, Dante è descritto come guelfo politicamente attivo, esiliato dai suoi concittadini. Inserire dati biografici è funzionale alla presentazione del Poeta a una cultura, quella giapponese, che sapeva poco di lui e della lingua d’origine. Nella Commedia, invece, Dante ci dice davvero poco sulla sua persona, limitandosi a farci intuire la sua età ([…] nel mezzo del cammin di nostra vita […] alluderebbe ai suoi 35 anni).
Virgilio risiede nel Purgatorio invece che nel Limbo e Beatrice è mostrata in tutta la sua sfrontata sensualità; quest’ultimo aspetto è il “marchio di fabbrica” del mangaka che mira a provocare con l’amore sensuale, senza risparmiare neanche quella Beatrice che Dante calava nell’ottica stilnovista. Entrambi i personaggi perdono il ruolo allegorico (rispettivamente di ragione e fede) di cui sono investiti nella Commedia.
Una differenza sostanziale, ma del tutto ragionevole, riguarda anche Dio, punitore ed entità malvagia che non lascia spazio alla misericordia. Lo stesso vale per l’idea del peccato, percepito in modo terreno e non inteso come oltraggio all’Onnipotente. Portare il cattolicesimo in Giappone non è un lavoro da poco ed è ovvio che Nagai rivisiti la questione religiosa dal punto di vista di chi è calato in un contesto decisamente lontano dalla dottrina cristiana neoplatonica.
“Stavo lavorando alle mie prime opere e avere avuto accesso all’intera mitologia del Cattolicesimo con un’opera così visionaria [la Bibbia di John Huston] è stata una benedizione. Dovete pensare che tanti anni fa il Cattolicesimo non era poi così noto in Giappone, per noi era qualcosa di assolutamente esotico”
Da qui, la differenza che investe Dante stesso: se nella Commedia le sue emozioni sono mitigate, nel manga sono spesso portate al parossismo.
Analogie tra Go Nagai e Dante
Circa le somiglianze tra le opere, porrei l’attenzione su tre elementi:
- Il viaggio: i protagonisti dei due capolavori compiono entrambi un viaggio. Il Dante fiorentino guida se stesso e tutti noi verso la salvezza, superando indicibili sofferenze; allo stesso modo, quello nipponico si muove lungo una via che spinge il lettore a interrogarsi sulla sua condizione e sul suo destino (tema anticipato già da Mao Dante e Devilman);
- Gli autori: sia Dante che Go Nagai hanno completato un’opera massima dopo aver sofferto e aver vissuto periodi bui e di sconforto, non accettati dalla società ed entrambi hanno dato vita a mondi verso cui si mostrano curiosi e dubbiosi. Infatti, anche il Dante di Nagai, come il Dante agens della Commedia, subissa Virgilio di domande;
- Il classicismo: anche Go Nagai si ispira alla cultura classica, latina e greca. Ciò non è solo evidente con l’omaggio alla Commedia, ma in Mazinga Z il villain comanda i suoi con la Verga di Rodi; in Grande Mazinga i nemici sono i Mikenes (Micenei) e uno dei generali è Yuri Cesar (Giulio Cesare), inoltre i mostri umanoidi son vestiti come i gladiatori.
Perché leggere Go Nagai?
Prima di tutto perché gran parte della sua produzione è stata influenzata da Dante Alighieri e chiunque ami la letteratura deve essergli grato per aver esportato un prodotto immenso in un Paese che non lo conosceva. Ovvio che abbia dovuto decodificarlo in modo particolare e lasciare che Dante parlasse una lingua vicina alla cultura a cui si approcciava (di qui le differenze con l’originale), ma si è trattato di un lavoro eccelso che è stato in grado di avvicinare al medium manga anche i più restii.
Dall’altra parte, un po’ di flessibilità letteraria non guasta mai. L’Italia (a differenza di altri Paesi europei come la Francia) è poco incline all’incontro tra cultura “alta” e “bassa”, il che tende a chiudere i capolavori nostrani in un elitarismo stantio. Non me ne vogliano i puristi della materia, ma da quando Go Nagai ha dato la sua versione del tutto personale del viaggio dantesco, l’opera è stata sdoganata dai rimaneggiamenti e molti autori vi si sono cimentati, come Cristiano Zuccarini (2019) e Marcello Toninelli (2021).
Il fumetto è un tipo di medium veicolato da più codici perché, a differenza del romanzo, adotta contemporaneamente il testo e l’immagine, costruendovi attorno la narrazione. Un genere di tutto rispetto che il maestro giapponese ha portato a un livello superiore.
E poi… Go Nagai è il papà dei robottoni con cui le nostre generazioni sono cresciute, e che hanno influenzato i cartoni animati più recenti, ma non solo. Al di là di un fattore meramente estetico, ogni qual volta ci si trova davanti a un personaggio diviso in due e costretto a convivere con il proprio demone interiore, non si può non pensare a Devilman. E lo stesso vale per i più moderni Ranma 1/2 o Naruto.
Perché ricordare l’Alighieri?
Perché insegnare Dante? Perché leggere la Commedia? Sarei estremamente di parte nel dare le mille e uno risposte che prendono forma nella mia testa. Perché questo è il mio lavoro. La Letteratura testimonia la storia dell’uomo e l’evoluzione del suo pensiero esattamente come altre materie oggetto di studio. “Semplicemente”, la Letteratura usa un altro linguaggio e altri codici: le idee.
Nessun poeta o romanziere sarà mai troppo lontano nel tempo se attualizzato a dovere. Nel Medioevo si parlava di tormenti, solitudine, amore e amicizia esattamente come oggi. Siamo il prodotto di ciò che è successo nel corso dei secoli e studiare i classici (mai dibattito fu tanto acceso) ci permetterà di decidere chi essere: la versione migliore di noi stessi o la peggiore.
Il viaggio di Dante riguarda tutti noi, divenendo esperienza universale per chi cerca se stesso e percorre una strada piena di ostacoli, ma anche di soddisfazioni e riconoscimenti. Dante è ovvio che sia figlio del suo tempo, come noi lo saremo agli occhi di chi ci leggerà per i decenni a seguire. La contestualizzazione è la prima chiave di lettura della Commedia.
E poi… Dante ha creato un’opera magistrale intraducibile in altre lingue, sapientemente costruita in terzine armoniose e musicali; ha fissato nell’immaginario collettivo Inferno, Purgatorio e Paradiso; è stato spunto per film, romanzi, giochi da tavolo e videogiochi (da provare The Nemesis Metaverse realizzato da Rai.it).
La Commedia è un capolavoro che non morirà mai e merita di essere celebrata, almeno ogni 25 marzo.