Oggi ricorre un compleanno particolare, il 20 Giugno del 1980 usciva The Blues Brothers. Molti conoscono questa immortale pellicola, ma non tutti sanno che l’idea del film nasce da un vero gruppo musicale. Pertanto non potevamo esimerci dal celebrare – ancora una volta – l’iconico film di John Landis, raccontandovi la sua storia ripercorrendone le origini.
“Sono 126 miglia per Chicago. Abbiamo il serbatoio pieno, mezzo pacchetto di sigarette, è buio, e portiamo tutt’e due gli occhiali da sole.” Si parte.
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Nel 1975 gli attori in erba John Belushi e Dan Aykroyd sono tra i primi a entrare nel cast della storica trasmissione Saturday Night Live, contribuendo alla crescente popolarità del programma. Aykroyd, grande conoscitore di musica blues nonché ottimo suonatore di armonica, fa conoscere questo genere a Belushi il quale finisce per innamorsene perdutamente. I due si convincono a portare questa passione in scena.
L’inizio del processo che porterà in seguito alla nascita dei Blues Brothers avviene nel 1976 durante una puntata dello show, in uno sketch musicale con la band della trasmissione – diretta dal grande compositore Howard Shore – nel quale Belushi canta un brano blues e Aykroyd suona l’armonica, vestiti da api!
I veri Blues Brothers
La svolta arriva nella primavera del 1978. Dopo due anni di lavoro sui personaggi e sullo stile da adottare, i Blues Brothers fanno la loro prima apparizione ufficiale: Jake Blues (Belushi) e Elwood Blues (Aykroyd) sono annunciati come ospiti musicali durante una puntata di SNL, e la loro esibizione entra nella storia del piccolo schermo. Il clamore attorno al loro nuovo numero spinge il duo a mettere su una vera band di altissimo livello; la formazione si esibisce anche fuori dallo schermo e ottiene un ottimo riscontro di pubblico. Nello stesso anno il gruppo pubblica il suo primo disco ufficiale: Briefcase Full of Blues, registrato dal vivo, riscuote un grande successo commerciale.
L’interesse attorno al progetto Blues Brothers motiva Aykroyd a scrivere una sceneggiatura per un film su questi personaggi, la cui prima bozza arriva a circa 300 pagine! Diverse erano le case di produzione interessate a produrre il film, ma alla fine la spunta la Universal. La regia del progetto viene affidata a John Landis, regista da poco sulla cresta dell’onda grazie al successo di Animal House (in cui figurava lo stesso Belushi tra i protagonisti).
Una produzione fuori controllo
Inizialmente il budget della pellicola era di 17,5 milioni di dollari, cifra decisamente alta per un musical, ma non per il film sui Blues Brothers. La produzione partì senza difficoltà, ma ben presto cominciarono a manifestarsi i primi problemi: dopo il primo mese di riprese il budget era già esaurito, e il conseguente aumento dei costi portò la cifra finale a 27,5 milioni!
Gran parte dei soldi fu spesa per girare i numerosi inseguimenti. Le spassose sequenze in cui vediamo decine di macchine sfasciarsi e accartocciarsi una sull’altra hanno reso questa pellicola unica nel suo genere: furono utilizzati 13 modelli diversi per la leggendaria Blues Mobile, e 60 auto della polizia per girare gli inseguimenti principali. The Blues Brothers al momento della sua uscita deteneva il record di auto distrutte in un film, ben 104!
Un altro grosso problema della produzione fu lo stesso John Belushi, che proprio in quegli anni stava vivendo il suo momento d’oro a livello professionale. Lontano dalle cineprese però la sua vita era diventata ingestibile, a causa di una irreversibile dipendenza dalla cocaina: i suoi atteggiamenti sregolati si ripercuotevano sul set, per le notti insonni e scarsa lucidità. Spesso si assentava svariate ore per dormire, causando ritardi nelle riprese, oppure dava di matto per qualunque sciocchezza.
Un inno alla comicità e alla buona musica
The Blues Brothers è una miscela esplosiva di musica e comicità, commistione che lo ha reso un classico immediato, citato e omaggiato ancora oggi nella cultura pop (e non solo). A partire dalle gag e le battute cult, sparse in tutto il film, e a finire con la sfilza di personaggi sopra le righe: impossibile dimenticare i nazisti dell’Illinois, la mefistofelica suora “Mary Stigmata”, o l’ossessiva fidanzata di Jake Blues; quest’ultima, interpretata da Carrie Fisher in un’inedita versione sadica, è al centro della memorabile scena in cui Jake le racconta un’epica sequela di scuse inverosimili.
“Non ti ho tradito. Dico sul serio. Ero rimasto senza benzina. Avevo una gomma a terra. Non avevo i soldi per prendere il taxi. La tintoria non mi aveva portato il tight. C’era il funerale di mia madre! Era crollata la casa! C’è stato un terremoto! Una tremenda inondazione! Le cavallette!! Non è stata colpa mia! Lo giuro su Dio!”
I numeri musicali sono però il fiore all’occhiello della produzione, arricchiti da un cast semplicemente stellare di nomi che hanno fatto la storia della musica afroamericana: artisti del calibro di James Brown, Aretha Franklin, Ray Charles e molti altri. Non è stato affatto facile convincere la Universal a ingaggiare questi musicisti, poiché paradossalmente non godevano di alta popolarità in quel periodo; infatti altre perplessità derivavano dal fatto che la produzione non era sicura che il film fosse ben accettato dal pubblico bianco; diverse sale, in particolare degli Stati Uniti del sud, si rifiutarono persino di proiettarlo.
The Blues Brothers uscì al cinema il 20 Giugno 1980, incassando 57 milioni di dollari negli Stati Uniti. Considerata deludente rispetto alle attese, la performance del film ricevette anche una bocciatura dalla stampa americana, che descrisse l’opera di Landis come un disastro. Tutt’altra storia in Europa, dove le critiche positive e un incasso di 58 milioni di dollari consentirono al film di entrare nella top ten di quell’anno.
Al di là dei risultati, quello che ancora ci affascina di quest’opera è la sua folle esuberanza. Un concentrato di ritmo (narrativo e musicale), sbalzi di “humor” (grottesco, demenziale, satirico) e creatività che porta il marchio di fabbrica di una delle fucine della migliore commedia americana.
Questo racconto on the road sui generis non ha perso il suo smalto a distanza di quattro decadi, e siamo abbastanza certi che tra altri 10 anni lo riguarderemo spassandocela come la prima volta.