Giovanni Boccaccio (1313-1375) è indubbiamente uno scrittore versatile che amalgama sapientemente differenti generi letterari, eleva la prosa volgare italiana (a detta di Pietro Bembo, umanista del ‘500), getta a Firenze le basi dell’Umanesimo (rinascita della cultura europea partendo dalla riscoperta dei classici latini e greci) e ispira molti autori tra cui Geoffrey Chaucer con The Canterbury Tales.
Boccaccio con Dante (che rappresenta per lui la figura ideale del poeta e di cui scrive la biografia Trattatello in laude oltre che commentare i primi canti de La Commedia definendola Divina) e Petrarca (di cui è ammiratore e amico) fa parte delle “Tre Corone” Fiorentine. I tre scrittori nobilitano il volgare fiorentino eleggendolo a lingua principe della letteratura e intorno al 1440, grazie a Leon Battista Alberti, è scelto per la stesura di una precocissima grammatica italiana nota col nome di Grammatichetta.
Il vocabolarietto però non è dato alle stampe. Bisogna aspettare la prima metà del Cinquecento per una grammatica della lingua italiana di ampia diffusione, come quelle date alla stampa da Aldo Manuzio, ovvero Le regole della lingua volgare di Fortunio e Prose della volgar lingua del Bembo.
Boccaccio just a city boy nato e cresciuto tra Firenze e Napoli
Tralasciando il piccolissimo omaggio a Don’t stop believin’, Giovanni Boccaccio è figlio illegittimo di Boccaccino di Chellino, un indaffarato mercante che lavora per la famiglia Bardi (banchieri di Firenze) a Napoli, con una popolana di Certaldo. Nato da una relazione extraconiugale Giovanni si crea una sorta di biografia immaginaria: sparpaglia cenni autobiografici in molte delle sue opere in volgare, dove nobilita la figura materna che diviene una nobildonna francese (Jean, ipotetica figlia illegittima del Re di Francia Filippo VI, conte d’Angiò) che suo padre avrebbe conosciuto durante uno dei viaggi di lavoro a Parigi.
Boccaccio riceve a Firenze, da parte del maestro Giovanni Mazzuoli (detto “lo Stradino”), un’ottima e variegata formazione scolastica, che arricchisce grazie allo studio da autodidatta del latino e della letteratura. La sua inclinazione letteraria è però ostacolata dal Boccaccino che tenta di indirizzare Giovanni verso l’attività mercantile ignorando la naturale propensione del figlio verso le arti liberali. È per questo che nel 1327 a soli 14 anni, Boccaccio si trova a Napoli presso la succursale della compagnia de’ Bardi, dove segue l’apprendistato bancario.
A Napoli i banchieri Bardi finanziano Roberto d’Angiò e la sua corte, con cui Giovanni Boccaccio entra in contatto. Gli anni nella città partenopea si rivelano per lui proficui ed entusiasmanti proprio per la partecipazione alla vita di corte angioina, dove può finalmente occuparsi di letteratura. Scrive sia in volgare, sia in latino (Teseida, Filocolo, Filostrato e Caccia di Diana) ed esplora la biblioteca di corte con Paolo da Perugia (bibliotecario e protetto del re), che gli insegna il greco e la sua letteratura.
Napoli con gli Angioini vive il suo massimo splendore e Boccaccio si immerge completamente nell’ambiente cosmopolita, variegato e ricco di cultura della città. L’incontro con centinaia di persone diverse della più svariata provenienza lo porta anche a costruirsi una visione “mercantile“ della società e del mondo. L’ambiente di corte tra stoffe pregiate, vizi e lussi diventa materiale per la composizione del Decameron ma in un primo momento è il luogo di incontro tra Giovanni Boccaccio e Maria D’Aquino.
Madonna Fiammetta: l’amata “reale” di Boccaccio
Boccaccio in quanto estimatore della letteratura cortese e dello stilnovismo (la sua matrigna Margherita de’ Mandoli è imparentata con la stessa casata della Beatrice dantesca, la famiglia Portinari, e gli fa conoscere le opere del sommo poeta) crea il suo personale amore mitico letterario: Maria d’Aquino, idealmente figlia illegittima di Roberto d’Angiò, diventa Fiammetta, nomen omen della passione che divampa nel petto del poeta, di quella vibrante energia che la città di Napoli sprigiona. La vede per la prima volta durante il Sabato Santo del 1336, a 23 anni, mentre esce dalla chiesa di San Lorenzo Maggiore sulla via dei Tributari, la via dove si riversa la vera nobiltà, e ne rimane folgorato.
L’amore di Boccaccio verso Madonna Fiammetta si sposta su un piano diverso rispetto all’amor cortese di Dante e Petrarca verso le Madonne Beatrice e Laura. Ora a farla da padrone è l’amore travolgente, passionale, carnale, lo stesso che si respira nella corte napoletana degli Angiò; Fiammetta diventa simbolo dell’amore totalizzante con cui l’amato arde e ne viene bruciato.
Ritorna come personaggio nel Decameron e in numerose composizione letterarie boccacciane (Ninfale fiesolano, Amorosa visione) e nella celebre Elegia di Madonna Fiammetta, scritta da Giovanni nel 1345 a Firenze – a causa di un tracollo economico della banca dei Bardi, Bocaccino nel 1341 richiama il figlio nella città d’origine, costringendo Boccaccio a lasciare definitivamente Napoli – dopo aver scoperto la morte dell’amata.
L’Elegia di Madonna Fiammetta, dal retaggio stilnovista (l’amore che eleva lo spirito al cielo richiama la poetica di Cavalcanti e la Vita nova di Dante), è un ottimo esempio di come la tematica dell’amore carnale caratterizzi le opere di Boccaccio. L’Elegia è un romanzo in prosa di nove capitoli, scritto sotto forma di monologo-confessione che si apre con un prologo e si chiude con un congedo. La novità assoluta dell’opera è la caratterizzazione psicologica e introspettiva dell’io narrante femminile, una donna che prende la parola per narrare la sua versione dei fatti.
Fiammetta si rivolge direttamente alle donne che come lei soffrono per amore (o che corrono il rischio di subire il suo stesso destino amoroso) per essere consolata, compatita e per condividere con loro i sentimenti di rabbia, gelosia e speranza. Fiammetta è una donna sposata che s’innamora del fiorentino Panfilo – anche questo un personaggio che ritorna nel Decameron – e inizia con lui una relazione passionale, ma il giovane parte, lasciandola sola e disperata.
Panfilo non è più servus amoris (schiavo d’amore), non si strugge per la donna amata, anzi la dimentica molto velocemente. L’unica a soffrire è la donna che vive la sua personale militia amoris (battaglia d’amore) non più debole e passiva nei sentimenti ma viva e combattiva, una vera eroina che pur soffrendo deve vincere questo scontro. Fiammetta non può mostrare né esprimere ad alcuno il dolore e il tormento del suo cuore spezzato.
Con il marito finge di essere ammalata e lui, premuroso e amorevole, cerca di curarla in tutti i modi. Il suo unico conforto risiede nella letteratura, con cui si consola leggendo storie simili alla sua che le permettono di versare tutte le sue lacrime; le donne gentili e innamorate cui Fiammetta si rivolge sono le stesse gentilissime donne destinatarie del Decameron.
Il proemio del Decameron: innovazione letteraria
Nel proemio, in prima persona, Boccaccio precisa lo scopo per cui ha composto il Decameron, individuando come pubblico ideale le donne della classe borghese. Giovanni racconta di quanto abbia sofferto non per la crudeltà dell’amata, ma per la passione travolgente che col tempo si è spenta lasciando solo dei bei ricordi. Gli sono stati vicini i suoi amici e pertanto si propone di assolvere lo stesso compito consolando i lettori che soffrono.
Le donne sono il suo pubblico perché, secondo Boccaccio, di natura fragile, mal sopportano le passioni impetuose e infelici, e quindi sono bisognose di aiuto. Le giovinette, giacché recluse in casa da padri, fratelli, mariti, sono maggiormente esposte alla malinconia e agli amori impossibili rispetto agli uomini che si svagano; hanno incontri amorosi fugaci, si distraggono e provano sollievo dalle pene d’amore uscendo dalle proprie dimore, pertanto Boccaccio intende allietarne i dolori attraverso una raccolta di cento novelle. L’argomento dei racconti svolge una doppia funzione: diletto e utile insegnamento.
Attraverso i nuovi modelli del saper vivere attinti da esperienze concrete, Boccaccio si augura che il lettore applichi la propria intelligenza alle novelle per trarne degli eventuali insegnamenti, dando spazio a temi controversi come quelli della passione amorosa e della sessualità, intese come forze naturali che non possono essere contrastate e dunque non sono colpevolizzabili a priori. Allo stesso modo i suoi personaggi sono lontani dall’approccio classico: sono straordinariamente freschi, colorati e vibranti epicurei. Sotto la volta oscura della peste interpretano la danza della vita, sfacciati e sfaccettati, banali e nobili.
Il Decameron e le sue novelle
Il titolo Decameron viene dal greco antico ‘dieci giornate’ (déka dieci, hemeròn giorni) e richiama le dieci giornate in cui sono distribuite 100 novelle di cui è composta l’opera. Modello per il titolo è Hexameron in cui Sant’Ambrogio racconta la creazione dell’Universo, ma mentre il santo descrive la Genesi, Boccaccio propone la ri-creazione del mondo civile messo a soqquadro dalla peste (figli che abbandonano i genitori e viceversa, coniugi che vivono separati, malati lasciati a morire nelle strade) per opera di dieci nobili ragazzi fiorentini.
L’autore immagina che un’onesta brigata di nobili origini (Pampinea, Fiammetta, Filomena, Emilia, Lauretta, Neifile, Elissa, Panfilo, Filostrato e Dioneo) s’incontri nella chiesa di Santa Maria Novella e decida di trasferirsi in una villa di campagna per sfuggire all’epidemia e vivere in modo più sereno e spensierato. Conversando, giocando, cantando e ballando, ma soprattutto narrandosi a turno per dieci giorni dieci novelle, mantenendo l’assoluto rispetto dei valori morali del vivere civile.
Boccaccio scrive il libro tra il 1348 e il 1352, quando i valori del Medioevo, subordinati alla fede e alla trascendenza, sfumano verso quelli del Rinascimento: l’uomo acquista centralità (e con esso i piaceri terreni); si dà grande importanza all’astuzia e all’ingegno (le sole in grado di aggirare la fortuna) in modo che il povero di nascita possa volgere la situazione a suo favore. Boccaccio appartiene alla nuova gente, alla classe borghese temuta dalla nobiltà, ed è questa la sostanziale differenza con i grandi autori del passato.
L’autore si rivolge direttamente a quel pubblico, non più a uomini dai nobili natali ma a gente colta del popolo. Per questo la lingua utilizzata dai ragazzi tra loro (e nelle novelle) assume coloriture popolari con il suo lessico ricco, informale e quotidiano, con una sintassi lineare che ricalca il parlato e produce il realismo di Boccaccio che investe tutto il quotidiano, i costumi dell’epoca, tutto ciò che era sacro e naturalmente il lessico dell’amore. L’universo dei modi di dire e dei proverbi, delle maledizioni e degli insulti, diventa parte integrante della narrazione in perfetto stile rinascimentale.
3 novelle del Decameron
Ogni giorno per dieci giorni viene eletto un re o una regina che organizza la giornata e stabilisce l’argomento su cui tutti a turno devono novellare. Ser Cepparello da Prato è la prima novella del Decameron narrata durante la prima giornata da Panfilo (sotto il tema libero dato da regina Pampinea).
Ser Cepparello e la sua astuzia come protagonisti
I, 1: Ser Cepparello con una falsa confessione inganna uno santo frate, e muorsi; ed essendo stato un pessimo uomo in vita, è morto reputato per santo e chiamato san Ciappelletto.
Comincia la prima giornata del Decameron, nella quale dopo la dimostrazione fatta dall’autore, per che cagione avvenisse di doversi quelle persone, che appresso si mostrano, ragunare a ragionare insieme, sotto il reggimento di Pampinea si ragiona di quello che più aggrada a ciascheduno.
Le prime dieci novelle vertono sul tema della corruzione e della condanna dei vizi dei potenti, non con intento moraleggiante, ma sempre attraverso il riso e la beffa. Per il personaggio del ser (il titolo davanti al nome è dato dalla sua professione di notaio) Boccaccio sembra essersi ispirato a un tale Ciapparello Deitaiuti da Prato, riscossore delle tasse al servizio del re di Francia Filippo IV. Panfilo inizia la narrazione con Musciatto Franzesi, anche lui personaggio realmente esistito che si distingue per la sua malvagia e crudeltà, che chiama ser Ciappelletto, un notaio vizioso e corrotto (l’uomo peggiore mai nato in terra) in Borgogna per riscuotere i debiti dei borgognoni, ribelli di basso ceto.
Giunto a destinazione, Cepparello trova ospitalità presso due fiorentini e inizia a svolgere le sue mansioni quando è colto da un improvviso malore che lo porta a capire di essere vicino alla morte. I due mercanti, che lo ospitano e che sono a conoscenza della sua pessima condotta, iniziano a chiedersi se chiamare un cappellano per l’estrema unzione (con il pericolo però che il frate udendo dei peccati di Ciappelletto gli rifiuti il perdono) o se seppellirlo in un terreno non consacrato.
Cepparello sente tutto e con arguzia rassicura i due uomini e chiede lui stesso che venga chiamato un prete al quale fa credere di essere un uomo profondamente religioso e pio, un sant’uomo, un perfetto cristiano. Egli in questo modo tiene nascosta la sua fama di furfante e protegge dalla vergogna e dalla rovina economica i due fiorentini che lo ospitano. Inoltre la sua falsa confessione fa sì che egli sia ritenuto un santo dal confessore, che propone di seppellirlo in un convento e istituire un culto post mortem affinché se ne conservi la memoria. La beffa di Ser Ciappelletto è riuscita, la fortuna è stata plasmata attraverso l’ingegno.
Alibech e il romito: l’eros boccacciano
III, 10:Alibech diviene romita, a cui Rustico monaco insegna rimettere il diavolo in inferno; poi, quindi tolta, diventa moglie di Neerbale.
Incomincia la terza giornata nella quale si ragiona, sotto il reggimento di Neifile, di chi alcuna cosa molto da lui disiderata con industria acquistasse o la perduta ricoverasse.
La decima novella della terza giornata ha come tema l’ingegno, l’intelligenza necessaria per ottenere ciò che si desidera unita a una forte componente erotica. La novella inaudita è narrata da Dioneo (dal greco lussurioso), il più giovane della brigata, e si svolge nel deserto.
Alibech, bella e ricca figlia di un mercante, desidera servire Dio secondo la fede cristiana e decide di seguire, come esempio, gli eremiti nella solitudine del deserto della Tebaide. Dopo diversi rifiuti da molti di loro che temono di essere tentati dalla sua bellezza, la ragazza è accolta dall’eremita Rustico (già il nome fa pensare a un cammino impervio verso la santità), che la seduce usando un inganno e approfittando della sua ingenuità. Il romito le dice che non c’è miglior modo di servire Dio che rimettere il diavolo in Inferno alludendo esplicitamente all’atto sessuale, dove l’inferno (sesso femminile) è la calda e profonda cavità in cui il diavolo (sesso maschile) sprofonda.
Le prime volte Alibech non comprende il piacere di questa incarcerazione nell’inferno, dopodiché, sempre più convinta di servire Dio e la Chiesa nel rimettere il diavolo nell’inferno, comincia lei stessa a chiedere all’eremita Rustico di fare il suo dovere. Dopo svariati incontri, l’anziano e gracile eremita è sfinito perché non può più soddisfare le tante richieste della giovane. Cerca di trovare un modo per sbarazzarsi di lei e le dice che il suo diavolo è stato ben castigato e che per calmare un inferno ci vogliono molti più diavoli.
Nel frattempo il padre e i fratelli di Alibech muoiono in un incendio domestico e lei è l’unica erede. Attira su di sé le attenzioni del concittadino Neerbale, (caduto in disgrazia economica) che viene a cercarla, e Rustico gli dà felicemente Alibech da sposare. Anche se triste per non poter più servire Dio, Alibech è consolata ironicamente da alcune donne in città, che le fanno capire che anche in veste di moglie di Neerbale avrà molte opportunità di rimettere il diavolo all’inferno e servire Dio.
L’irriverente Dioneo si prende gioco della tematica religiosa-ecclesiastica con una spietata ironia, attraverso il godimento dei piaceri della carne. Nel racconto di Dioneo l’Eros e il Diavolo si incontrano nel duro letto del romito (figura particolarmente venerata nel Medioevo) Rustico, che pur essendo santo è comunque un uomo molto fallibile. Pensa di poter resistere alla gran pruova della continenza, ma fallisce quasi subito (per fallire piuttosto velocemente anche per le sue capacità sessuali) e usa l’inganno per trovare un modo per fare sesso con lei.
L’innocenza di Alibech viene giocata usando il linguaggio con l’eufemismo di rimettere il diavolo all’inferno e la sua impaziente voglia di farlo. Il lettore sa cosa significa, ma Alibech lo prende alla lettera. Le donne a cui, ritornata a Capsa, racconta la storia sanno esattamente cosa è successo e non la illuminano. Invece le assicurano che avrà la possibilità di rimanere pia con il suo nuovo marito, a sua gran consolazione e piacere.
Guglielmo Rossiglione: Boccaccio riprende la tradizione provenzale del cuore mangiato
IV, 9: Messer Guiglielmo Rossiglione dà a mangiare alla moglie sua il cuore di messer Guiglielmo Guardastagno ucciso da lui e amato da lei; il che ella sappiendo, poi si gitta da una alta finestra in terra e muore e col suo amante è sepellita.
Incomincia la quarta giornata nella quale, sotto il reggimento di Filostrato, si ragiona di coloro li cui amori ebbero infelice fine.
Come abbiamo già accennato, per Boccaccio il tema centrale del Decameron è l’amore. Questo sentimento naturale, che coinvolge ogni aspetto della vita degli uomini, etica e fisica, non si può domare né sottomettere alle costrizioni morali sociali e religiose; è un impulso che emerge con prepotenza anche in situazioni avverse con conseguenze anche molto dolorose. L’amore è uno dei temi principali di ben due giornate, la quarta e la quinta.
Nella quarta giornata Filostrato, il re, propone il tema dell’amore infelice mentre nella quinta giornata Fiammetta, la regina, propone il tema degli amori felici. Gli amori infelici hanno come protagonisti quelli che non hanno potuto vivere liberamente il loro affetto e sono morti tragicamente. Nell’età medievale questa situazione è all’ordine del giorno, i lettori e le lettrici conoscono molto bene la dinamica per cui il padre, o l’uomo più anziano della famiglia, decide sulla vita dei figli destinandoli a matrimoni infelici che celano sempre un interesse economico, o alla vita monastica senza tenere conto delle loro inclinazioni e sentimenti.
Filostrato in persona narra la novella che vede come protagonisti i provenzali Messer Rossiglione, sua moglie e il suo amante Guardastagno. Guglielmo Rossiglione scopre il tradimento della moglie con il suo amico Guardastagno. Decide così di ucciderlo e fare mangiare il cuore alla ignara moglie che, sapendolo, dalla disperazione si uccide gettandosi da una finestra del castello. Messer Rossiglione fa poi seppellire i due corpi insieme e sulla lapide fa scrivere versi significanti chi fosser quegli che dentro sepolti v’erano e il modo e la cagione della lor morte.
Questo tema in realtà non è una novità proposta da Boccaccio. Si trova infatti nelle Metamorfosi di Ovidio, nella lirica trobadorica e nella Vita Nova di Dante, laddove il poeta vede Amore personificato che tiene in braccio Beatrice addormentata: in una delle mani Amore stringe il cuore del sommo vate e dopo aver svegliato la donna glielo fa mangiare (Dante vittima di Amore il cui cuore è dato in pasto alla donna amata).
La stessa vicenda propostaci da Boccaccio ricalca il racconto della Vida (breve biografia) del trovatore Guillem de Cabestany, originario della contea catalana di Rossiglione. Un giorno è accolto alla splendida corte di Raimon de Castel Rossillon, un nobile malvagio che ha come moglie Soremonda, dall’animo gentile. I due fatalmente s’innamorano, secondo le leggi dell’amore cortese, e Guillem imprudentemente canta l’amore per la sua dama. La scoperta del tradimento scatena la brutale vendetta del signore di Rossillon.
La lettura boccacciana si rende indipendente dalla vida provenzale, e si discosta dalla lirica Dantesca, la tematica del cuore mangiato diventa una contrapposizione fra amor cortese (il cuore spirituale) e desiderio carnale, espresso dall’atto del divorare.
Il Decameron e i suoi adattamenti
Una delle più celebri trasposizioni cinematografiche del Decameron è sicuramente quella di Pier Paolo Pasolini del 1971, che è parte della Trilogia della Vita assieme a I racconti di Canterbury (1972) e Le mille e una notte (1974). Pasolini sceglie dieci novelle dal Decameron per commentare il conflitto di classe consentendogli di dichiarare la sua posizione riguardo all’abuso e al disprezzo per i poveri dell’Italia meridionale da parte della società borghese settentrionale. Per rafforzare ulteriormente l’idea della povertà dell’Italia meridionale, Pasolini sceglie come ambientazione Napoli e i personaggi appartengono tutti alla classe sociale più bassa, che si divide tra contadini e mercanti.
Più recente è la versione dei fratelli Taviani, il Meraviglioso Boccaccio (2015). Il film, molto fedele all’originale, ruota attorno a cinque novelle il cui tema fondamentale è quello amoroso, in una visione casta e “cortese”. Alcuni finali sono stati modificati per far trionfare l’amore e la donna sulle brutalità dell’uomo.
Attuale è anche la produzione Netflix, The Decameron, una serie in uscita il 25 Luglio 2024. Sono previsti otto episodi di un’ora ciascuno, in cui un gruppo di giovani nobili si rifugia nella grande Villa Santa fuori Firenze mentre infuria la peste nera nel 1348. Con il passare del tempo le convenzioni sociali si affievoliscono, l’orgia di lusso e potere trasforma la loro permanenza in una vera e propria lotta per la sopravvivenza.
Che dire, lettori, spero che questo lungo viaggio assieme alla scoperta di Giovanni Boccaccio e del suo Decameron vi sia piaciuto. Per quanto mi riguarda, e penso si possa cogliere dall’articolo, apprezzo particolarmente l’autore e questa sua opera in particolare, trovo sia stato uno scrittore esemplare e abbia apportato innumerevoli innovazioni nella letteratura italiana del 1300. Se vi consiglio di leggere il Decameron? Sì, assolutamente e mille altre volte sì. Moderno, innovativo ed esilarante.