A qualche settimana dall’uscita di Joker: Folie à deux, sono sempre più convinta che non sia stato capito e che non sia un totale flop, nonostante abbia incassato davvero poco. Ho raccolto alcune delle critiche mosse al film con l’obiettivo di controbattere a tutte una alla volta, partendo da quelle davvero prive di fondamento e irrispettose verso chi ha investito in un prodotto, per arrivare all’analisi degli snodi centrali della pellicola.
“Joker: Folie à deux è un musical!?”
Che fosse un musical si sapeva già al momento dell’annuncio, un annetto prima dell’uscita.
Esulando dal gusto personale (io adoro i musical, seppur abbia una certa tolleranza nei confronti del numero e nel genere di canzoni cantate) e, a meno che non si sia un cinefilo onnivoro, occorre sempre informarsi su ciò che si andrà a guardare, per evitare brutte sorprese e distruggere un film con poca cognizione di causa, una volta usciti dalla sala.
In secondo luogo, ma non meno importante, la trovata del musical mi sembra sia stata quella migliore: non avrebbe avuto senso girare un Joker 2 alla maniera tradizionale perché (e qui convengo con i detrattori di questo sequel) non aveva senso farne un altro, dal momento che il primo chiudeva perfettamente un cerchio narrativo e sarebbe potuto essere uno stand-alone tra i migliori diretti.
Ma il director aveva ancora qualcosa da indagare e lo ha fatto in maniera originale. E la volontà di esprimersi di un regista non può metterla in discussione nessuno; le idee sono sacrosante e vanno rispettate tanto quanto l’impegno che direzione e cast mettono in atto. Joker 2 al botteghino crolla, ma non gli si può non riconoscere un certo valore estetico e un gusto musicale originale.
“Lady Gaga è brutta”
In questo caso, non posso esulare dal gusto personale. Spesso, quando scrivo, mi imbatto in critiche che derivano dalla mancata voglia di argomentare, per cui si diventa insultanti. Che qualcuno sia più o meno avvenente, dobbiamo far sempre in modo che la sostanza abbia conto sulla forma. Lady Gaga è una performer che ha cavalcato la scia dell’eccentricità, per far parlar di sé e imporsi in un certo mercato, ma ha dimostrato di essere un’artista in grado di cantare, ballare e recitare che sta costruendo un’altra immagine di se stessa.
Con la sua voce esplosiva e la sua grinta, si è cimentata in ruoli impegnativi ed è riuscita a imporre la sua presenza anche su attori con un pizzico di esperienza in più (vedi A star is born diretto da Bradley Cooper, per cui è stata candidata all’Oscar come Miglior Attrice nel 2019).
Che piaccia o meno per il suo aspetto o carattere, il pubblico è tenuto a valutarne la performance. Dal canto mio quando Lady Gaga canta, Harley Quinn o Ally Campana che sia, è bellissima e con il suo timbro trasmette una carica emotiva e dei messaggi così profondi che le parole non sarebbero in grado di veicolare. La regia ha saputo dirigerla e lei ha risposto bene alla parte che le è stata assegnata.
“Joaquin Phoenix non sa cantare”
Questo film non è un talent show, dunque non è il luogo deputato a inscenare grandi abilità canore. Nel sequel di Joker, il particolare modo di cantare dell’attore si sposa bene con quello che Arthur Fleck vive: una condizione di forte instabilità psicologica dovuta anche all’isolamento nell’Arkham Asylum. La sua voce non può essere quella di un uomo nel pieno delle sue facoltà mentali, quindi è normale che sia biascicata e simile a un rantolo.
Joaquin Phoenix stona perché è l’Arthur Fleck oppresso da se stesso e dalla società, ma nella sua immaginazione patinata e luminosa, quando non è più solo ad affrontare i demoni che lo tormentano, ecco che la sua voce si schiarisce e si fa più intonata.
Ma al di là del Joker, una critica del genere non ha motivo di sussistere se pensiamo al fatto che stiamo parlando di un attore di questo calibro, che si è cimentato nei panni di Johnny Cash nel film del 2005 Walk the line, diretto da James Mangold, che lo ha portato a maturare un amore per la musica non indifferente, e che ci ha regalato un’interpretazione magistrale della colonna sonora di Joker 2.
“Joker 2 non è fedele al fumetto”
Vero, tuttavia occorre fare un passo indietro al primo Joker, un film che abbiamo immaginato come un cinecomic, ma che si è imposto come altro. Siamo così immersi negli universi Marvel e DC Comics che dimentichiamo quanto sia possibile parlare di supereroi e villain e sviscerarne la psicologia su un piano più umano, semplicemente decontestualizzandoli dai fumetti e ciò che di immaginifico c’è dietro.
Non voglio denigrare un genere di tutto rispetto che nasce proprio in risposta a problematiche sociali per dar voce agli inascoltati (si pensi alla genesi di Spider-Man o Black Panther, nati in rappresentanza dei drammi che l’adolescenza porta con sé e della comunità afroamericana in lotta per i propri diritti), ma invitare ad accogliere altre letture sugli spin-off dei fumetti.
Il Logan del James Mangold di cui sopra del 2017 dovrebbe aver insegnato tanto: è un film che attinge al fumetto per presentare il dramma di un uomo calato nel suo tempo. Il primo capitolo su Joker ha seguito la stessa linea recuperando il vissuto di Arthur Fleck dal fumetto The Killing Joke di Alan Moore e Brian Bolland, ma ne ha poi allargato la visione ad altro: il suo obiettivo era focalizzarsi sul ruolo dell’aspirante comico che, in caduta libera, inizia a nutrire odio per il suo idolo.
L’idea del regista attinge a piene mani dal lungometraggio di Martin Scorsese del 1983, Re per una notte, dove recita lo stesso Robert De Niro, che nel Joker del 2019 interpreta Murray Franklin, riferimento indiscusso di Arthur che si avvia alla carriera di comico e che, da questi, sarà ucciso. La storia narrata ha molte più somiglianze con questo film, piuttosto che con i fumetti, nonostante abbia cercato un aggancio con questi, inserendo nella pellicola alcuni filler che ci portano alla prossima critica mossa nei confronti di questi due film.
“Vince facile con quel titolo acchiappafan”
L’accusa si riferisce al prodotto in genere e non esclusivamente a questo secondo episodio, tacciato di inganno per aver attirato in sala fan dei fumetti, oltre che gente curiosa di vedere una nuova versione della nemesi di Batman. L’ultima risaliva al Jared Leto del Suicide Squad del 2016 e non ce la ricordiamo con particolare affezione. Con Joaquin Phoenix l’interesse era maggiore, perché era già stato considerato da Christopher Nolan (ancora prima di Heath Ledger) per interpretare quel ruolo, ma aveva rifiutato perché non si sentiva pronto a un impegno del genere.
Se il film del 2019 avesse avuto un titolo diverso, avrebbe avuto la stessa risonanza? Credo di no. Sarebbe stato comunque un bel film? Assolutamente sì. Il titolo Joker ha rimandato a qualcosa di familiare e, sicuramente, è stato un modo per assicurarsi una buona fetta di pubblico: dall’altra parte, ha permesso al regista di dare la sua personale visione del personaggio, legata all’universo di Bruce Wayne per le sue origini, senza cadere nella rivisitazione fumettistica.
Il Joker di Phillips è la storia della caduta di un essere umano che precipita sempre più nell’oblio per sua predisposizione e perché la società individualista non sempre ascolta chi ne ha bisogno (si badi a ciò che il protagonista dice alla psicoterapeuta durante una delle tante sedute, quando la accusa di non stare ad ascoltarlo).
Nel passaggio dal primo al secondo capitolo, tale linea viene mantenuta, ma osservata da una diversa prospettiva: l’inascoltato diventa impossibilitato a parlare, se non tramite il mezzo musica che, come si è detto, permette di vocalizzare pensieri che vengono da angoli remoti del nostro essere. Con risvolti così sfaccettati, che il titolo del film sia stato Joker e ammesso che sia stato messo lì per acchiappare i fan, non credo ci si possa lamentare; se l’operazione di marketing porta a qualcosa di profondo da indagare, ben venga.
“Pessimo: ti fa empatizzare con un criminale”
La questione è spinosa perché tocca una tendenza particolare dei prodotti audiovisivi degli ultimi anni, quella di avvicinarti emotivamente (e quasi involontariamente giustificarne le azioni) a criminali che non meritano la nostra empatia.
Al di là del relativismo dei concetti di Bene e Male che ho analizzato in altre sedi, occorre fare un distinguo tra Joker e altri personaggi al centro dello stesso fenomeno. Penso ai protagonisti di Gomorra (2014-2021) o al Pablo Escobar di Narcos (2015-2017), per cui si è generato un vero e proprio effetto sulla gente, il primo dei quali simpaticamente presentato dal gruppo The Jackal.
Mi pare ci sia grande differenza tra l’avvicinare il pubblico a personaggi che hanno influenzato negativamente la storia dell’uomo con atti criminosi, mitizzandoli come eroi, e l’indagare la psicologia di un carattere nato dalla china di un disegnatore.
Sono soprattutto le nuove generazioni che, non avendo gli strumenti necessari per veicolare determinati messaggi, assumono i pericolosi atteggiamenti dei beniamini che vedono muoversi sul grande e piccolo schermo; il reale attecchisce dentro di loro più facilmente che il fittizio percepito, appunto, come tale.
Vero è che abbiamo assistito agli effetti della follia dei mitomani, ma reputo più pericoloso ciò che si insinua nella mente e vi si radica, agendo lentamente e nel tempo. Lungi da me sminuire la portata degli attentati di folli con fucili e parrucche verdi, ma quello che agisce latente nel corso degli anni o di una vita intera si trasforma in mostri aberranti che finiscono con l’allargarsi alla società tutta, prima per moda, poi perché percepito come la normalità.
Considerare Joker: Folie à deux una pellicola che istiga muovendo a compassione mi sembra eccessivo, anche perché (e qui mi viene in aiuto la letteratura) per fare ciò bisognerebbe ricorrere a idillio e patetismo. Si tratta di due tecniche di narrazione proprie della corrente romantica, secondo cui si idealizza la scena per muovere il lettore a pietismo. Narrativamente parlando, Joker è sempre stato neutrale nella scrittura, mostrando luci e ombre del carattere principale.
“Joker: Folie à deux? Harley Quinn come Lady Gaga non conta nulla!”
Per analizzare il ruolo dell’Harley Quinn di Lady Gaga nella pellicola (e da questo punto in avanti), dovrò parlare della trama nello specifico con qualche SPOILER, partendo dall’assunto secondo cui lei non sia Harley Quinn, ma una sua rivisitazione che, come accaduto per Joker stesso, viene riletta e subisce delle modificazioni importanti, diventando Lee Quinzel, detenuta in manicomio per aver appiccato un incendio nella casa dei suoi genitori e non dimostrarsi mentalmente stabile.
La donna striscia nella mente di Arthur Fleck, facendo leva sull’ascolto, la comprensione e l’approvazione di quell’alter ego (il Joker) che l’uomo sta decostruendo; ricorrendo all’amore sentimentale, al potere della carne e all’ipotesi di dargli un figlio, lo intrappola nella sua tela per poi voltargli le spalle quando lui si riconosce come Arthur e si libera, finalmente, dell’ingombrante presenza del clown.
In Joker: Folie à deux, Lady Gaga come Harley Quinn non sarà fedele al fumetto (se non per l’abito sfoggiato durante il processo ad Arthur), ma non sembra contare poco, come si dice, ai fini della narrazione.
A una lettura più profonda, poi, il suo personaggio si carica di un senso che va oltre la semplice sceneggiatura. Non molto tempo fa, ho recensito Novelle per un anno di Dario De Marco, in cui si passano in rassegna gli espedienti che non si dovrebbe usare mai quando si narra. Uno di questi è raccontare qualcosa che alla fine si rivela un sogno o appannaggio della mente protagonista, per non incorrere nel lettore (in questo caso spettatore) inferocito che si chiede: “cosa ho visto sinora?”
Il sequel sul Joker gioca tanto con la nostra mente che, fin da subito, è posta davanti al dubbio se quello che vede accada per davvero o meno. Lee Quinzel esiste o è una proiezione del protagonista? Fosse così, la folie à deux ruoterebbe intorno ad Arthur Fleck e il suo alter ego Joker, in cui il primo è vittima del suo carnefice, che lo avviluppa in spire concentriche che finiscono con annientarli a vicenda.
Questo è uno degli spunti su cui riflettere per apprezzare la pellicola e la messa in scena tutt’altro che semplicistica.
D’altro canto, se Lee Quinzel fosse reale rappresenterebbe non solo il femmineo che trascina l’uomo nell’abisso, ma anche la personificazione di quella società che ha sempre spinto Arthur ai margini, rifiutandolo. Quando perde interesse nei suoi confronti, infatti, la donna lo rifiuta, allargando quella già profonda frattura del protagonista del film.
Da questi punti di vista, non mi sembra che la presenza di Lady Gaga come Harley Quinn, non sia importante; durante la prima parte del film, mi sono chiesta spesso se non fosse lei la protagonista che, come un burattinaio, muove i fili per direzionare il tutto verso una strada a lei congeniale, salvo comprendere fosse uno strumento per sbloccare prima Joker, poi Arthur, verso la consapevolezza di ciò che non si sarà mai: creature amate per ciò che si è, libere dalle proprie maschere.
Joker 2 al botteghino
Purtroppo, gli incassi di Joker: Folie a deux sono stimati tra i 210 e i 215 milioni di dollari a livello globale, mandandolo in perdita di 200 milioni; tra produzione e campagna pubblicitaria, infatti, questo sequel è costato circa 400 milioni. Sono numeri pesanti al botteghino, che lo inseriscono nella classifica delle peggiori pellicole assieme a The Marvels (2023) e The Lone Ranger (2013), per dirne due.
Resta da considerare che il film è ancora presente nelle sale cinesi, in cui è uscito in un secondo momento rispetto alla nostra programmazione. Vedremo a breve i dati ufficiali, ma sarà difficile recuperare quei circa 450 milioni per mettersi in pari con le spese. Tanto meno raggiungere il successo del primo Joker che, nel 2019, aveva incassato più di un miliardo in tutto il mondo.
La pellicola secondo me
Quello che ha funzionato in Joker 2: la colonna sonora
Prima di andare al cinema, ho ascoltato la colonna sonora di Joker 2 in auto, senza sapere nulla del film. La tracklist è potente, sebbene molti siano rimaneggiamenti di canzoni già esistenti. I pezzi originali sono pochi, come The Joker is me, non presente come colonna sonora, ma solo su supporto audio. Un vero peccato, perché avrebbe dato al personaggio di Lee Quinzel una interessante sfumatura per cui avrebbe sfruttato la fama dell’instabile criminale per schiacciarlo e appropriarsi della sua identità.
Fenomenologia dei testi musicali a parte, mi chiedo se davvero la musica abbia reso Joker: Folie à deux un brutto film. A mio avviso, no. Ho apprezzato che il cineasta si sia messo in gioco, osando con un genere molto particolare e inviso alla maggior parte del pubblico. Intorno al musical, infatti, regna un’aura negativa perché il pensiero di molti segue la logica per cui “se voglio vedere un film, guardo un film; se voglio ascoltare delle canzoni, metto su la radio”. Ancor più erroneamente, si percepisce il cantato come una fastidiosa interruzione del flusso dialogico.
Alla prima questione rispondo dicendo che, se combinate bene, narrazione e musica fanno esplodere le emozioni con un altra forma del “non detto” e permettono di esprimere pensieri che, spesso, è difficile dire parlando. Alla seconda ribatto con fermezza che il modo cantato non interrompe la parola, ma le dà un’altra connotazione perché trae spunto dal linguaggio della mente. Dunque, il tempo non si ferma, ma va avanti affiorando dagli angoli più reconditi della psiche, permettendo quanto sopra.
Il gusto personale è sacrosanto, ma se badassimo a tali sfaccettature forse giudicheremmo il musical con minore severità. In merito alla colonna sonora di Joker 2 poi, se ci aspettavamo di vedere la Poker Face di Lady Gaga, con uno strambo trucco e occhialoni da sole, non siamo stati accontentati (per fortuna): la cantante si sta evolvendo in un’attrice a tutto tondo che vuole farsi conoscere anche per altre doti, perché ingabbiarla in ciò che ha fatto parte del suo percorso e che l’ha spinta a scalare la collina di Hollywood?
…e quello che ha funzionato meno: la narrazione
Ho esordito dicendo che avrei difeso il film dalle critiche che mi sono state fatte presenti, non che lo avrei considerato perfetto ed esente da errori. Joker: Folie à deux è un’opera che ha dei problemi che, sembrerà strano, sono di tipo narrativo e, a tratti, attoriale. La parte musicale è sicuramente quella che funziona di più perché riesce a trasmettere messaggi ben precisi; la narrazione “parlata” sembra un riempitivo che procede per inerzia, come non ci fosse un plot preciso da seguire.
Appare evidente che la sceneggiatura si sia concentrata maggiormente sulla prima, per raccontare la dimensione onirica di un Joker/Phoenix che nella parte del processo perde colpi e si guarda intorno a cercare una spalla che non c’è più (di fatto Harley Quinn/Lady Gaga lo ha già abbandonato), nonché un’ispirazione che lo aiuti a recitare la sua farsa (e il copione) con convinzione.
Si tratta di problemi che, personalmente, non giustificano gli incassi così bassi, ma sbavature su cui si poteva prestare attenzione. La seconda parte del film infatti affievolisce un po’ la costruzione portata avanti fino a quel punto, facendolo vacillare.
Ci sarà un sequel di Joker: Folie à deux?
Sebbene la pellicola non mi sia dispiaciuta, e la reputi un prodotto da vedere ancora per carpire i dettagli che sfuggono alla prima visione e che aprono la strada a nuove letture, spero che la regia non si lanci in nuovi progetti che gravitino intorno alla figura del Joker.
Dopo la discussa scena finale, ogni dubbio dovrebbe essere fugato perché, come vediamo, Arthur Fleck viene accoltellato da un compagno di cella che porta il suo stesso ghigno malvagio sul viso, a dimostrazione che “noi siamo Joker“. Il suo cerchio si è chiuso, ma un altro potrebbe essere aperto, quello su Lee Quinzel.
Per ciò che la spalla ha rappresentato, sarebbe sconveniente scrivere un film su di lei, un po’ perché siamo stanchi di continui reboot e sequel, un po’ perché il suo solo personaggio non reggerebbe un film. Cosa potrebbero raccontare di interessante su Lady Gaga come Harley Quinn? Le sue origini? Se ne è già fatto accenno nella pellicola e non sono sembrate particolarmente misteriose tanto da approfondirle. Inoltre, chi le si potrebbe affiancare di così carismatico da portare in sala la gente? Nessuno.
Credo davvero si possano dormire sogni tranquilli: Todd Phillips ha girato i suoi film che, come Quentin Tarantino ha recentemente dichiarato, sono stati uno schiaffo in faccia a Hollywood e al mondo dei cinecomic, prendendoli e ribaltandoli completamente. Ha costruito e decostruito uno dei pilastri dei fumetti, raccontandoci la sua caduta in quell’oblio che non lascia spazio ad alcun tipo di sentimento.
Poi, con i risultati degli incassi, sfido il filmmaker a girarne un altro. Sarebbe davvero un azzardo che, con tutta la comprensione e l’analisi possibile, non riusciremmo a salvare. Forse.