“Come fai a raccogliere le fila di una vecchia vita?”
Con le lettere. E chi conosce John Ronald Reuel Tolkien sa quanto queste siano importanti per ricostruire la storia editoriale delle sue opere e piccoli scorci di vita quotidiana.
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L’epistola come genere letterario nasce nel secolo dei Lumi, quando ci si accorge che dai lunghi scambi tra filosofi e romanzieri si sarebbe potuta descrivere la storia che cambiava e si evolveva nei costumi, nella lingua e nelle idee. Quale mezzo migliore per mettersi a nudo e confessarsi se non la lettera, con quella formula di apertura così intima: “Mio caro…”
Lettere da Babbo Natale raccoglie molte delle lettere che Tolkien ha spedito ai figli, ogni anno dal 1920 al 1943, con una costanza e un’attenzione al dettaglio degni del suo nome.
L’opera è stata pubblicata una prima volta dalla fedelissima Allen&Unwin nel 1976 e circa vent’anni dopo dalla HarperCollins. Questa, però, presentava degli importanti refusi che la terza edizione Bompiani per l’Italia ha corretto e arricchito con nuove tavole, disegnate dallo stesso autore.
Ogni anno, i piccoli di casa Tolkien (Michael, Christopher e Priscilla) spedivano lettere a Babbo Natale, chiedendo giocattoli e mettendolo al corrente dei progressi cui andavano incontro crescendo come, ad esempio, i primi approcci alla scrittura. Man mano che si impratichivano, però, abbandonavano la tradizione, infatti le ultime lettere di risposta dal Polo Nord sono, per lo più, riferite alla piccola Priscilla.
La frenetica vita di Babbo Natale
Raccolte dalla seconda moglie di Christopher Tolkien, Baillie, le lettere arrivavano a casa spolverizzate di neve e, a volte, consegnate direttamente dal postino. Lo immaginate il Prof in combutta con il portalettere?
Il corpus ci racconta le disavventure di un Babbo Natale vecchio di circa 1930 anni e dalla scrittura tremolante, preso da giocattoli e consegne e pronto a rimediare ai danni del suo (non sempre) fedele aiutante, l’Orso Bianco del Nord.
Tanti gli inconvenienti sul lavoro…Un giorno del 1925, il suo cappello era volato sulla punta del Polo Nord e l’Orso si era impuntato per recuperarlo, ma era rovinosamente scivolato sul tetto di casa, generando un buco enorme che aveva fatto cadere tutta la neve in salone che, con una reazione a catena, aveva spento il fuoco e aveva iniziato a colare giù in cantina bagnando i regali che lì erano accatastati. Il cappello era stato recuperato, in compenso la casa distrutta, i regali rovinati e la zampa dell’Orso fratturata.
Un giorno del 1928, invece, mentre stavano trasportando i pacchetti sulla slitta, l’Orso ne ha impilati troppi sulle zampe e, scendendo giù per le scale, è precipitato di muso a terra a causa di sapone vischioso sui gradini che… chissà come fosse finito lì…
Una delle vicende decisamente più particolari riguarda creature care all’immaginario letterario tolkieniano, i goblin. L’autore li descrive come degli astuti ratti che, già nel lontano 1453, avevano creato non pochi problemi a Babbo Natale e il suo seguito. Acerrimi nemici degli gnomi, hanno origini molto antiche stando alle pitture murarie riportate da Tolkien in cui montano dei drasil, strani cavalli nani a forma di bassotti. Le loro incursioni hanno causato prima la sparizione dell’Orso Bianco e poi quella dei giocattoli meccanici di cui erano avidi.
Giocattoli di primo ‘900
Dalle Lettere è possibile stilare un elenco dei giochi più richiesti all’epoca. Sembra che la passione dei più piccoli per i mattoncini affondi le radici nel secolo scorso e mai si sia esaurita. Risale, infatti, al 1923 l’inizio della concorrenza tra le costruzioni Picabrix e Lotts che pare fossero “più belli, più forti e più curati” rispetto ai primi. Considerando che i Lego nasceranno nel 1949 e solo nel 1958 assumeranno la forma idonea all’assemblaggio, con Tolkien ci troviamo di fronte ai loro antenati.
Non mancavano trenini, magiche girandole luminose, fattorie degli animali e libri da colorare, in particolare quelli di Beatrix Potter che, nell’anno di riferimento della lettera del 1938, era già una nota illustratrice di libri per l’infanzia, nonché autrice di famosi racconti tra cui quello di Peter Coniglio.
Degno di attenzione, il riferimento nella lettera datata 23 dicembre 1932 al Meccano, brevettato da Frank Hornby nel 1901 a Liverpool e divenuto, in breve, strumento educativo per tutte le generazioni a venire. Non si trattava semplicemente di un gioco, ma di un sistema ingegneristico basato sul funzionamento di leve e ingranaggi, assemblati con placche in metallo e stagno e bulloni. All’epoca della stesura della lettera di cui sopra e in occasione del XXV anniversario dell’azienda, le parti del gioco erano state implementate con componenti in verde e rosso.
Dopo chiusure, fallimenti e delocalizzazioni, il Meccano iniziò a esser prodotto in Francia e in Cina. Oggi non è più il gioco di una volta: le norme di conformità sempre più rigide lo hanno portato a esser costruito in plastica e l’utenza è notevolmente cambiata; esistono ancora collezionisti e puristi del Meccano, ma i giovanissimi rivolgono l’attenzione altrove.
Restando in tema ludico, Tolkien ci racconta che l’Uomo della Luna scendeva spesso sulla Terra per giocare con Babbo Natale a Snapdragon, un vecchio gioco da tavolo in cui bisognava mangiare più uvetta possibile da una ciotola infuocata di brandy! Ovviamente, il rischio di ustionarsi era alto, ma l’atmosfera (un po’ natalizia, un po’ spettrale) generata dalle fiamme blu era impagabile, motivo per cui era tradizione giocarci negli Stati Uniti la notte di Halloween.
Le lettere e il legendarium tolkieniano
L’opera copre gli anni letterari più prolifici di Tolkien che, nonostante la cattedra di Letteratura Anglosassone a Oxford e le lezioni di norreno che continuava a tenere comportassero molti impegni, ha coltivato la passione per le lingue, le fiabe, la storia della sua terra e di quelle che le hanno instillato la Fiamma Imperitura e innescato la creazione, secolo dopo secolo.
Non esiste opera isolata dalle altre, ogni storia o carattere rimanda a vicende narrate, in modo più o meno esteso, in altri testi.
Si pensi all’Uomo della Luna, cui si fa menzione sia in Roverandom – Le avventure di un cane alato, sia nelle Avventure di Tom Bombadil, o alla tromba d’oro che Babbo Natale suona per chiamare a raccolta tutti i suoi amici in un momento di estremo pericolo, come Boromir suona il Corno di Gondor ne Le Due Torri, assediato dagli Orchi.
Linguisticamente poi da un filologo come Tolkien non possiamo non aspettarci stralci di elfico e una tavola sull’alfabeto dei goblin o sulle rune adottate dall’Orso Bianco.
Molto più che un epistolario
E se le Lettere nascondessero più di quanto si possa immaginare? Particolarmente indicate per i bambini, si prestano anche a una lettura più consapevole e adulta, celando un sottotesto che affonda direttamente nella cultura e nel folklore scandinavi. È come se Tolkien avesse disseminato indizi ed ermetici riferimenti su quanto accada nelle regioni del Nord durante i mesi invernali.
Prima di tutto dobbiamo calarci nel contesto islandese.
- Spesso si fa menzione della fitta neve che cade e del cielo illuminato dai bagliori dei fuochi d’artificio. Durante il periodo natalizio in Islanda non mancano abbondanti nevicate e quelle luminescenze astrali potrebbero riferirsi all’aurora boreale o ai fuochi pirotecnici che riempiono i cieli di Reykjavík la notte di San Silvestro.
- Babbo Natale parla di un certo Yule e di come in Islanda non si riempiano calze alla vigilia. Effettivamente, il Natale qui è conosciuto come Jöl o Yule e, addirittura, pare esistano 13 Babbi Natale o Yule Lads che …sono elfi! Scendono dalle montagne il 12 dicembre, giorno a partire dal quale sui davanzali delle case andrebbero lasciate delle scarpe che i magici folletti riempiranno con regali. Uno al giorno, per le persone meno abbienti. Ma non lasciamoci ingannare: erano dei ladri scassinatori dai volti poco affidabili.
Con un approccio fanciullesco di pascoliana memoria, Tolkien sapeva bene come allietare il Natale dei suoi figli, stimolarli a far bene e credere nelle fiabe. Lui, che per primo ha creduto in tutto ciò che ha scritto e ci ha accompagnato giorno dopo giorno nella crescita con le sue opere. Lui, che, come il suo Babbo Natale, non si è mai dimenticato delle persone nemmeno quando, ormai, avevano ” […] passato da un pezzo l’età in cui si appendono calze”.