Little, Big: le fate secondo John Crowley

A quasi quarant’anni dalla sua pubblicazione, giunge finalmente anche in Italia il romanzo cult Little, Big di John Crowley. Nel 1982 l’opera si aggiudicò il World Fantasy Award, uno dei più prestigiosi riconoscimenti nell’ambito della letteratura fantastica.

La storia si apre seguendo le vicende dell’anonimo Smoky Barnable, trasferitosi dalla grande Città per convolare a nozze con Daily Alice Drinkwater, e unirsi alla sua particolarissima famiglia.

Da qui il romanzo segue le vicende dei Drinkwater attraverso le diverse generazioni: di pagina in pagina ci viene svelato il destino di questa famiglia, indissolubilmente legato a quella delle misteriose creature fatate che sembrano gravitare intorno alla loro dimora.

 

little big

 

Little, Big: or, The Fairies’ Parliament (questo il titolo completo originale) è un romanzo estremamente complesso e, nonostante la presenza dell’elemento paranormale, è una storia difficilmente catalogabile in un unico genere. Il libro è allo stesso tempo una fiaba e una saga familiare, i dettegli fantastici si fondono con la quotidianità quasi come in un’opera del realismo magico

Pur non descrivendo mai con precisione gli esseri fantastici (che gli stessi personaggi definiscono a volte “fate”, a volte “elfi” o più semplicemente “Loro”) Crowley attinge a piene mani dalle leggende legate al Piccolo Popolo. Le creature immaginate dall’autore vivono nascoste in simbiosi con la natura, abitano nei boschi e conversano con gli animali; il loro aspetto anche se solo accennato – le orecchie a punta, gli occhi gialli, le diafane ali da insetto – non può non richiamare i folletti del folklore celtico.

Chiari sono anche i riferimenti ad altre leggende, quella del changeling o anche la figura dormiente del Re sotto la montagna. Così come non mancano i richiami a situazioni reali: il vecchio Auberon fotografa le nipotine immerse nella natura nel tentativo di catturare il volto di una fata, una situazione che richiama sia le stranezze di Lewis Carroll sia le foto in bianco e nero del caso Cottingley.

 

Fotografie
A sinistra Alice Liddell immortalata da Lewis Carroll, a destra una delle foto del caso mediatico delle fate di Cottingley.

 

 (N.d.A.: attenzione, da qui in poi l’articolo contiene lievi spoiler sulla trama!)

Teatro della storia è l’immaginario paesino di Edgewood, cittadina da fiaba di cui i Drinkwater sono i più illustri abitanti. Il paesino è unico al mondo, in quanto costituito da edifici di stili e dimensioni diversissime tra loro. La case in stile vittoriano e neoclassico si alternano a piccoli cottage e agli edifici rustici, fino ad arrivare a Villa Drinkwater, la massima espressione di questa varietà: una casa costruita con facciate in stili differenti.

Edgewood è a sua volta circondata da cinque cittadine satelliti, disposte in cerchio ai vertici di un immaginario pentagono. La figura del “cerchio”, o meglio delle strutture concentriche, è ricorrente nel racconto. Il mondo di Little, Big è suddiviso in realtà contenute l’una dentro l’altra – poche delle quale accessibili agli esseri umani – fino ad arrivare al centro, ovvero al Mondo delle Fate.

In maniera speculare, Edgewood è il cuore della comunità, e al suo centro casa Drinkwater ne è il pilastro portante. A fianco ai membri della famiglia è la stessa casa ad essere protagonista della storia: è un edifico labirintico e intrigante, nel quale gli stessi abitanti sono in grado di perdersi. La dimora è un portale con l’altro mondo, è proprio qui che si svolgono i contatti più importanti con le creature, e sarà proprio lei a fungere da ponte nelle battute finali del romanzo.

 

Joseph Noel Paton
Il re e la regina delle fate in un quadro di Joseph Noel Paton

 

Se siete alla ricerca di una trama lineare e con un worldbuilding dettagliato Little, Big non fa per voi. L’intera opera è pervasa da un senso di impalpabilità che circonda le figure fatate. Il mondo degli elfi è separato dalla realtà da un velo sottile. I protagonisti sono in grado di percepirli – un’immagine nascosta tra le foglie catturata in una foto, una risata in fondo al bosco – ma quasi mai di vederli chiaramente o di conversare con loro. L’esistenza delle fate non è un fatto tangibile, ma solo una semplice intuizione.

Nel mondo di Little,Big esistono solo pochi eletti (imparentati in un modo o nell’altro con i Drinkwater) che nel corso della loro vita hanno sfiorato l’altro mondo; questi sono solitamente riconoscibili attraverso alcune specifiche caratteristiche fisiche, prima tra tutte le sopracciglia che si uniscono sulla fronte. Quasi più affascinanti di questi eletti sono però gli altri personaggi, come il vecchio Auberon o il capostipite John Drinkwater, condannati a vivere al loro fianco senza poter partecipare attivamente alla “Fiaba”. Incapaci anche solo di intravedere il mondo invisibile, la loro intera vita è una affannosa ricerca della presenza di segni che dimostrino la fondatezza della loro fede incrollabile.

Tutti i Drinkwater, così come le altre famiglie che orbitano attorno a Edgewood, sanno di essere i protagonisti di una storia già scritta: la “Fiaba”. La Fiaba non è altro che il destino, una sorta di profezia segreta di cui nemmeno i personaggi stessi conoscono le caratteristiche e soprattutto la fine.

Da questo punto di vista la storia è quasi frustrante, sia per i protagonisti che per il lettore stesso: lo scrittore ci inganna, di pagina in pagina ci viene svelata una presunta “verità” immediatamente smentita, fino alla beffa finale. Perfino l’Assemblea, quello che dovrebbe essere il punto di svolta del libro, si rivela decisamente diverso da quello che ci aspettiamo. Non un “faccia a faccia” con il mondo invisibile, ma un banchetto onirico. L’unico punto fisso: Sylvie e il giovane Auberon, apparentemente eletti a Principe e Principessa delle fate, trasformati nel corpo e nell’anima e forse con il compito di ripopolare il mondo invisibile.

Little, Big è quindi un romanzo difficile, stratificato, che si presta a diverse interpretazioni, una perla che un amante della letteratura fantastica non può lasciarsi sfuggire.

 

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