Nella mia personale classifica di opere shakespeariane, Macbeth e Sogno di una notte di mezza estate occupano il primato assoluto. Ci sarebbe anche Amleto, ma il suo carattere ambiguo e il contradditorio succedersi di pensieri lo rendono fastidioso (diciamoci la verità, quel ragazzo aveva proprio bisogno di uno psicologo) e la povera Ofelia, che a star dietro ai capricci degli uomini della sua vita che decidono per lei (compreso il principe di Danimarca), impazzisce e si suicida.
Romeo e Giulietta sono due sciocchini, andiamo ragazzi miei perché uccidervi quando diventare amanti all’epoca era socialmente più accettato di adesso. E anche lì Mercuzio, il più irriverente e sopra le righe della tragedia, che parla la lingua della verità ovvero che non è amore tra i due piccioncini ma l’ormone a parlare per loro, muore malamente a metà dell’opera.
Va bene, ho capito, per lo Shakespeare Day vi parlo delle opere che più apprezzo del Bardo. Bando alle ciance, andiamo al sodo iniziando dal Thane of Glamis.

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ToggleMacbeth, la tragedia più breve di William Shakespeare
William Shakespeare scrive The Tragedy of Macbeth tra il 1606-1608. Si tratta dell’opera più breve del Bardo, scritta in una combinazione di prosa e poesia (la prosa è usata principalmente dai personaggi di rango inferiore o quando i personaggi stanno perdendo il senso di sé), dalla trama lineare perché non ci sono sottotrame che corrono parallele, ma si segue esclusivamente l’azione omicida del protagonista verso la conquista del potere assoluto.
La tragedia è diventata l’emblema della natura distruttiva della sete di potere incontrollata e dell’ambizione politica. È la drammatizzazione, così attuale, di quelle che sono le ripercussioni psicologiche della forza selvaggia del desiderio, e non è un caso che l’opera abbia dato origine a una serie di varianti moderne letterarie e cinematografiche.
“Occultate, voi stelle, i vostri fuochi, Che la luce non veda i miei neri e profondi desideri. Non veda l’occhio ciò che fa la mano; ma accada ciò che l’occhio, una volta compiuto, temerà di guardare.”
Long story short: il generale dell’esercito di Duncan (un re debole che governa una Scozia selvaggia e feroce facendo affidamento sul suo nobile guerriero) Macbeth, di ritorno dalla battaglia col suo amico Banquo, incontra tre streghe.
The Weird Witches (Shakespeare trae ispirazione per descrivere le stregonerie delle sorelle fatali dal Daemonologie, 1957, di re Giacomo I d’Inghilterra, ipotetico discendente di Banquo) lo appellano come sire di Glamis (titolo nobiliare che gli già appartiene), sire di Cawdor e come Re (titoli che al contrario egli non possiede) mentre si rivolgono a Banquo come capostipite di una dinastia di re – Tu genererai dei re, senza esser tale tu stesso: così, salute, Macbeth e Banquo! – e svaniscono nell’ombra lasciando i due signori a interrogarsi su quella strana apparizione.

Ritornati all’accampamento, Duncan concede a Macbeth il titolo di sire di Cawdor. La prima profezia si avvera e il generale comincia ad ambire al ruolo di re di Scozia: “Se la sorte vuol ch’io sia re, ebbene, la sorte può incoronarmi, senza che io muova un passo”. Macbeth pensa se uccidere o meno Duncan. Ed esprime la sua mancanza di motivazioni valide prima dell’omicidio attraverso una metafora in cui il suo intento è un cavallo e l’ambizione è lo sperone del cavaliere che si prepara a cavalcarlo.
“Non ho alcuno sprone per pungere i lati del mio intento, ma solo ambizione smisurata, che supera se stessa.“ Macbeth confida tutto a sua moglie, Lady Macbeth, che lo sprona a uccidere chiunque si frapponga a lui nella conquista del trono: “Tu sei Glamis e Cawdor, e sarai ciò che ti è stato promesso. Ma temo della tua natura; essa è troppo imbevuta del latte della bontà umana, per prender la via più breve. Tu vorresti esser grande; non sei senza ambizione […]”.
“Affrettati a venir qui, affinché io possa versarti nell’orecchio il mio coraggio, e riprovare, col valore della mia lingua, tutto ciò che ti allontana dal cerchio d’oro, col quale il destino e un aiuto soprannaturale sembra ti vogliano incoronato” (partendo proprio dall’attuale re di Scozia e la sua progenie, ospiti al loro palazzo a Inverness).
Tormentato dal rimorso e dagli scrupoli nonché dalla paranoia, Macbeth continua la sua follia omicida. Scoppia una guerra civile tra il re di Scozia e MacDuff, che vede perire in battaglia Macbeth come predetto, ancora una volta, dalle sorelle fatali.
La morale è: date sempre gli spiccioli alle vecchiette che si mettono fuori le chiese, perché se ve le inimicate vi lanciano contro le maledizioni e chissà che poi queste non si realizzino realmente.

Simbolismo e Lady Macbeth
A parte gli scherzi il Macbeth è una opera fenomenale, i temi centrali ruotano attorno ai concetti di lealtà, senso di colpa, innocenza, predestinazione e libero arbitrio, che hanno tutti a che fare con l’idea di fondo della eccessiva ambizione e brama di potere e delle sue conseguenze negative. Allo stesso modo, Shakespeare usa immagini e simboli nell’opera per illustrare i concetti di innocenza e colpa.
Le forze soprannaturali in questa opera di Shakespeare svolgono un ruolo fondamentale. A partire dalla prima scena, il pubblico assiste ad un’apparizione oltremondana sotto forma delle tre streghe che predicono l’ascesa al potere di Macbeth, così come le continue allucinazioni del signore di Glamis (fantasmi, pugnali insanguinati).
Gli elementi soprannaturali dell’opera vengono usati astutamente da Shakespeare per intrattenere il pubblico dei primi tempi moderni e contribuire a esplicitare gli elementi simbolici nel Macbeth come, ad esempio, pugnali e mani insanguinate: io ti vedo ancora; e sulla tua lama e sull’impugnatura vedo stille di sangue, che prima non v’erano. No, non c’è nulla di simile. È l’atto sanguinoso che sto per compiere, il quale prende corpo, così, davanti agli occhi miei.

Il sonno e la sua mancanza – “Non dormir più! Glamis ha ucciso il sonno e quindi Cawdor non dormirà più, Macbeth non dormirà più!” – la natura avversa e ostile, la mancata distinzione di luce e oscurità (diventa impossibile dopo l’ascesa al trono di Macbeth distinguere il giorno dalla notte e viceversa, si perde il conto dei giorni, ci si sente confusi e disorientati tanto quanto Lord e Lady Macbeth), nonché un continuo ripetersi del numero 3.
Mi vorrei soffermare un attimo sulla figura femminile di questa tragedia, il personaggio più oscuro e affascinante del teatro shakespeariano. Lady Macbeth sin dalla sua prima apparizione si mostra tutto fuorché dolce, fragile o buona, ma incarna una propria femminilità dall’aura oscura e terribilmente affascinante.
Lady Macbeth non vacilla neanche un istante davanti alla profezia riportatela dal marito anzi, la sua avidità e ambizione si accendono all’idea di vedere Macbeth re, tali da trasformarla in determinata e spietata: è intenta a tramare l’omicidio di Duncan, pienamente consapevole delle sue azioni e della natura bonaria del signore di Glamis, che sa di dover spingere a commettere un assassinio.
È una donna astuta che si serve del suo essere femminile per ottenere potere, non riuscendo con la forza fisica, e attraverso la manipolazione per raggiungere il suo scopo e lo fa egregiamente. Ignora tutte le obiezioni di Macbeth, quando esita ad uccidere lei lo ridicolizza mettendo in dubbio la sua virilità spingendolo attraverso le ingiurie a commettere un omicidio per dimostrare il suo essere maschio.
Ma mentre Macbeth si abitua sempre di più ad essere un tiranno dopo l’omicidio di Duncan, Lady Macbeth inizia una lenta discesa nella follia tormentata sempre di più dal senso di colpa. Vaga tra le ali del castello di Inverness cercando disperatamente di lavare via una macchia di sangue invisibile: “Via, maledetta macchia! Via, dico Una… due: ecco, allora è il momento di farlo. L’inferno è buio! Vergogna, mio signore, vergogna! un soldato che ha paura! Che ragione abbiamo di temere che qualcuno lo sappia, quando nessuno può chiamare la nostra potenza a renderne conto? Ma chi avrebbe mai pensato, che quel vecchio avesse dentro tanto sangue?”
Lady Macbeth perde la sua forza, diventa debole, ravvede in Duncan le fattezze del padre, non è in grado di sopportare più gli atti crudeli e scellerati del marito. Finisce per impazzire e alla fine si uccide incapace di accettare la gravità dei crimini commessi.

Su Lady Macbeth si è scritto ampiamente, recentemente sono stati pubblicati due romanzi che rivisitano la figura della malvagia sovrana. Entrambi dal titolo Lady Macbeth, uno edito da Ne/oN e scritto da Ava Reid, l’altro di Schuler Isabelle pubblicato dalla HarperCollins.
Entrambe le autrici riprendono il tratto caratteriale di donna forte datole da William Shakespeare ma decidono di narrare la sua storia precedente al matrimonio con il bruto scozzese. La scrittrice Rossella Pretto invece riscrive in chiave poetica la figura di Lady Macbeth nel suo Nerotonia edito da Samuele Editore; per l’autrice la sovrana è in realtà una donna fragile che si nasconde dietro la corazza dell’essere, del sembrare apparentemente forte.
Forse non sai che…
Macbeth è esistito realmente. La figura storica del re della Scozia dell’XI secolo ha condotto, anche egli come il suo corrispettivo letterario, una vita piena di omicidi, tradimenti e drammi.
Il Macbeth di Shakespeare racconta però una storia ben diversa dalla realtà storica. Il Bardo descrive Macbeth come un nobile guerriero manipolato dalla moglie ambiziosa che lo spinge a commettere un regicidio, innescando una sanguinosa catena di eventi che porterà alla loro rovina. In realtà, Macbeth aveva una discendenza reale che risaliva a Malcolm I, aveva quindi una legittima pretesa alla regalità che ottenne, non assassinando un anziano re Duncan nel suo letto, ma sul campo di battaglia. E Duncan in realtà aveva la stessa età di Macbeth.
Nella tragedia il regno di Macbeth è breve, sanguinoso e fallimentare. Durante il suo governo pianifica l’omicidio del suo più caro amico e alleato Banquo, nonché dell’indifesa famiglia del suo rivale MacDuff. Il regno del vero Macbeth durò 17 anni, a testimoniare le sue competenze come monarca.
Di Banquo e MacDuff, invece, neanche l’ombra. Lady Macbeth si conosce poco, a parte il nome Grouch di lei non ci pervengono molte informazioni; si sa che era una nipote di Malcom II e che il suo matrimonio col re di Scozia durò all’incirca 24 anni.

Come il suo alter ego letterario anche il vero Macbeth va incontro ad una morte sanguinosa e violenta. Shakespeare fa uccidere Macbeth da MacDuff in una battaglia vicino a Dunsinane, in seguito all’assalto guidato dal conte Siward di Northumbria, mascherando il suo esercito con rami provenienti dal bosco di Birnam (come profetizzato dalle tre streghe “Macbeth è invitto, finché la foresta grande di Birnam contro a lui la cresta salga di Dunsinane”).
Nella realtà storica Earl Siward guidò un’invasione assieme a Malcolm Canmore, figlio di Duncan. Sconfitto in battaglia ma non vinto, Macbeth continuò a governare per altri tre anni prima di perire sotto la spada di Malcolm.
Il Macbeth nella cultura di massa
Macbeth va in scena nel 1606 e sfortuna vuole che la prima teatrale sia costellata di incidenti. L’attore che interpretava Lady Macbeth muore improvvisamente, i pugnali non sono semplici oggetti di scena, ma armi vere e proprie che causano la morte dell’attore che interpreta Duncan.
Le sue successive rappresentazioni teatrali non eclissano le sventure della prima, con liti furiose tra attori, tra cui la famosa discussione di Astor Place a New York nel 1849 – scatenata dalla rivalità tra l’americano Edwin Forrest e l’inglese William Charles Macready – che causa 20 morti e più di 100 feriti (entrambi gli attori interpretavano Macbeth in produzioni opposte). Oppure le clamorose e tremende cadute dal palco da parte degli interpreti (Diana Wynyard, nella produzione di Stratford del 1948, durante la scena del sonnambulismo di Lady Macbeth cade, lei che solo la sera prima ridicolizzava sull’idea della maledizione che aleggia sulla tragedia dal 1600).
Per finire le morti misteriose che portano le stesse compagnie teatrali a riferirsi al Macbeth come The Scottish Play, come ci viene ricordato anche da Sir Ian McKellen (celebre attore cinematografico e maggiore interprete teatrale shakespeariano) nella puntata Lunga sfiga alla regina della nota serie animata I Simpson. Non solo in un episodio viene citato il Macbeth, ma viene per giunta messo in scena dai cittadini di Springfield in Four Great Women and a Manicure. Marge racconta la vicenda: sul palco della cittadina si fanno le prove per il Macfield e ad Homer è stato assegnato il ruolo di albero; avvelenata dal ruolo assegnato al marito, Marge (che qui incarna l’ambizione di Lady Macbeth) suggerisce al tontolone Homer di uccidere Telespalla Mel (interprete scelto per il ruolo da protagonista) innescando una sequela infinita di morti.
Continuando sulla scia delle serie animate Walt Disney cita svariate volte le opere di Shakespeare (Oliver & Company cita Macbeth; ne Il re leone la vicenda tra la famiglia di leoni è un palese riferimento ad Amleto e miei cari lettori qui lo dico e non lo nego, Black Panther della Marvel è uno scopiazzamento del film animato targato Disney), in particolare con La Bella e la Bestia e in Biancaneve e i sette nani.
Ne La Bella e la Bestia il riferimento alla tragedia viene da Gaston, l’antagonista del film d’animazione (1991) che cita un passo dell’opera pronunciato da Lady Macbeth: “Sol che voi vogliate stringer la corda del vostro coraggio al suo punto di fermezza, noi non falliremo” / “But screw your courage to the sticking-place, and we’ll not fai”. Gaston canta “il coraggio non vi mancherà / Throw your courage to the sticking place”, mentre incita la folla a uccidere la bestia, nello stesso modo in cui Lady Macbeth incita il marito (Atto I, scena settima) a uccidere re Duncan.

Iconica è invece la rappresentazione della Regina Grimilde, la matrigna di Biancaneve e i sette nani (1937), che si basa sul personaggio di Lady Macbeth. Entrambi i personaggi sono donne malvage, ambiziose, avide, fredde e senza scrupoli, che non escludono l’omicidio pur di ottenere il trono. Inoltre, la doppiatrice e prestavolto della regina Grimilde è Lucille La Verne, un’attrice teatrale già conosciuta per aver interpretato in gioventù Giulietta in Romeo e Giulietta e Lady Macbeth in The Scottish Play, per poi debuttare a Broadway nel 1888 e al cinema nel 1915.
Il suo ruolo in Biancaneve e i sette nani fu il suo ultimo da attrice prima della sua morte nel 1945, interpretando una delle cattive più iconiche dell’intera filmografia Disney. Dà vita a una regina malvagia che non si ferma davanti a nulla, desiderando la morte di Biancaneve pur di diventare la più bella del reame, compreso cambiare i suoi stessi connotati in modo da perseguire il suo obiettivo. La sua trasformazione poi, da femme fatale ad anziana rugosa, fa accapponare la pelle sia a grandi ma soprattutto ai piccini.
Sogno di una notte di mezza estate: fonti e ispirazioni
Passiamo dalla tragedia alla commedia più divertente e incasinata di William Shakespeare, A Midsummer Night’s Dream, scritta in un periodo altamente creativo della carriera del Bardo, quando si allontana dalle trame superficiali che caratterizzavano i suoi primi drammi e scopre uno stile più maturo.
La maggior parte dei critici ritiene che l’opera sia stata scritta e messa in scena per un matrimonio aristocratico, alla presenza della regina Elisabetta I. Gli studiosi shakespeariani stimano che l’opera sia stata scritta intorno al 1595 o 1596, nello stesso periodo di Romeo e Giulietta, Riccardo II, Pene d’amore perdute e Il mercante di Venezia, condividendo con essi lo stile poetico che caratterizza i suoi scritti del tardo Cinquecento.
Esistono evidenti collegamenti tra la trama di Sogno di una notte di mezza estate e Romeo e Giulietta, entrambi i drammi enfatizzano il conflitto tra amore e convenzione sociale e la trama del dramma che andrà ad inscenare la sgangherata compagnia di Bottom, Piramo e Tisbe, è parallela a quella della tragedia sui due amanti sfortunati.

I critici si sono chiesti se Romeo e Giulietta sia una reinterpretazione in chiave seria e drammatica di Piramo e Tisbe, o se invece Shakespeare stesse prendendo in giro la sua tragica storia d’amore attraverso la parodia offerta al pubblico dalla compagnia di artigiani.
A differenza della maggior parte delle opere di Shakespeare, Sogno di una notte di mezza estate attinge non ad una sola fonte scritta, ma bensì a molteplici. La storia di Piramo e Tisbe è presente ne Le metamorfosi di Ovidio, ma non è il solo poeta latino a essere preso in esame, anche Apuleio con il suo Asino d’oro.
Il matrimonio di Teseo e Ippolita è, invece, descritto ne Il racconto del cavaliere (The Knight’s Tale; funfact, nel 2015 ci feci il power point, ero in terzo liceo e ignoravo il collegamento con A Midsummer Night’s Dream) di Geoffrey Chaucer in I racconti di Canterbury (altro funfact, è un plagio della Teseida di Giovanni Boccaccio). Infine, è possibile che Shakespeare si sia informato tramite Le vite parallele di Plutarco sugli usi e costumi dei greci e romani, e sulla persona di Teseo per modellare il proprio.
Fate danzanti e folletti dispettosi provengono dalla tradizione inglese, riccamente popolata da creature magiche con un lato maligno come Puck (anche conosciuto come Robin Goodfellow, noto per i suoi scherzi a volte crudeli, un cospiratore del diavolo), e allo stesso tempo spiriti della natura amanti del divertimento, volenterosi alleati della benevola Madre Natura.
L’interazione di questa eclettica gamma di personaggi, dalla regalità greca classica alle fate del folklore celtico, dà vita ad una storia di ordine e disordine, realtà e apparenza, amore e matrimonio.

L’eccentrica trama di Sogno di una notte di mezza estate
Teseo, duca di Atene, e Ippolita, regina delle Amazzoni, stanno per sposarsi, nella città sono previste grandi celebrazioni, ed ecco che la notte prima delle nozze la realtà fa un passo indietro e si entra nella dimensione onirica. Ermia e Lisandro sono follemente innamorati l’uno dell’altra, ma Egeo, il padre della ragazza, vuole che lei sposi Demetrio, che è amato da Elena, la migliore amica di Ermia, non corrisposta.
Quando il duca Teseo impone ad Ermia di obbedire a suo padre, pena la morte o la castità in convento, la ragazza decide di fuggire con Lisandro in un bosco vicino. Ermia ingenuamente confessa tutto ad Elena, che rivela tutto a Demetrio, che insegue la sua amata con Elena che gli corre dietro, letteralmente.
Nel bosco si riunisce anche la compagnia teatrale, decisamente amatoriale, di un gruppo di artigiani per fare le prove di un’opera teatrale da rappresentare alle nozze di Teseo e Ippolita. Gli attori sono seri, ma non molto abili e tra loro fa la sua comparsa un altro protagonista della commedia, Nick Bottom, che si troverà di lì a breve ad essere oggetto di desiderio della bella e potente sovrana delle fate.
Il bosco è un regno governato dalla magia e da Oberon e Titania, rispettivamente il re e la regina delle fate. La coppia è in lite per la custodia di un ragazzo indiano da rendere un paggetto. Oberon, per ottenere il bambino, ordina al birbante folletto Puck di cogliere una viola del pensiero da cui spremere il nettare sugli occhi della moglie addormentata, facendo sì che la regina s’innamori del primo essere, persona o animale, che vedrà al risveglio (facendole, secondo il marito, dimenticare del resto e cedergli il suo paggio senza protestare).
Mentre attende Puck, Oberon assiste a una lite fra Elena e Demetrio e chiede al folletto di versare il medesimo succo anche negli occhi di Demetrio per aiutare la sua spasimante. Nel buio della notte, per errore, Puck spreme il succo sugli occhi di Lisandro, che al risveglio vede Elena e se ne innamora perdutamente, con grande disappunto di Ermia.

Non pago degli errori commessi, Puck decide di prendersi gioco di Nick Bottom. L’artigiano subisce una trasformazione sconvolgente, la sua testa si trasforma in quella di asino e iniziando a ragliare sveglia la regina Titania, che per effetto delle gocce se ne innamora all’istante.
Alla fine l’ordine viene ristabilito e ritorna a regnare l’armonia. Titania cede il suo paggetto, Oberon annulla tutti gli incantesimi, Demetrio ormai ha occhi solo per Elena, Ermia e Lisandro sono liberi di amarsi e la festa di nozze reale, tra il duca Teseo e l’amazzone Ippolita, si realizza. La cerimonia viene intrattenuta dalla tragedia di Piramo e Tisbe, resa una farsesca produzione dagli artigiani, un promemoria che l’amore, come la messa in scena di una commedia, è più adatto a sognatori, poeti e agli asini.
Alla base di Sogno di una notte di mezza estate c’è la semplice struttura in tre parti caratteristica della maggior parte delle commedie: gli eventi vanno male, ci sono complicazioni ridicole e infine gli eventi vanno bene. Shakespeare costruisce una struttura più elaborata su questa base, raccontando tre storie e sviluppandole una accanto all’altra: le disavventure dei quattro amanti, il conflitto tra Titania e Oberon e le lotte degli artigiani per mettere in scena Piramo e Tisbe; la tensione tra Ippolita e Teseo è un quarto elemento della trama, meno importante, che aiuta a collegare gli altri tre.
Le trame sono collegate tra loro dall’interazione tra i gruppi di personaggi e da temi e situazioni parallele. Man mano che la commedia procede, le trame si svolgono a velocità diverse e il nostro interesse si sposta tra di esse. Questi spostamenti tra le trame rendono A Midsummer Night’s Dream molto meno semplice da interpretare di quanto possa sembrare a prima vista. È un’opera sull’amore, come sembra all’inizio, o sull’immaginazione, come diventa più evidente verso la fine?

Sogno di una notte di mezza estate nella calda Toscana
“Certo, la testa e il cuore al giorno d’oggi non vanno tanto d’accordo…” pronuncia Bottom nell’atto III, scena prima, riassumendo perfettamente il senso dell’opera della quale è protagonista. Sogno di una notte di mezza estate è una follia incantata in cui l’amore è cieco e al momento giusto è probabile che ci si innamori della prima persona su cui i nostri occhi si posano.
Gran parte del divertimento dell’opera si svolge durante una lunga notte nella foresta, dove la malizia lubrifica gli occhi degli amanti e li induce ad amare follemente la prima persona che vedono al risveglio, rendendoli pedine di uno spettacolo di magia per cui quando non riescono a vedere la persona che amano, amano quella che vedono. Ciò causa ogni sorta di confusione, non da ultimo quando Titania, la Regina delle Fate in persona, si innamora di un tessitore a cui sono cresciute le orecchie d’asino.
Nel film omonimo del 1999 – che vi consiglio caldamente di vedere, fatelo – il tessitore è Bottom, interpretato da Kevin Kline, e lui e il dispettoso Puck (un giovane Stanley Tucci) sono i personaggi più importanti della commedia. Kline si comporta in modo goffo, e Tucci porta scompiglio e incomprensioni ovunque vada.

Il film di Michael Hoffman è ambientato nella Toscana del XIX secolo e il linguaggio è fedele, in generale, all’opera originale. Kevin Kline è timido nel “rifiutare” le avances appassionate di Michelle Pfeiffer nel ruolo di Titania, i cui occhi sono stati unti su richiesta del marito, Ruper Everett, Oberon.
Nel frattempo, l’unguento magico, distribuito con noncuranza da Puck, genera confusione nelle relazioni amorose tra i quattro giovani che sono stati presentati all’inizio della commedia. Elena è Calista Flockhart, Ermia Anna Friel, Demetrio Christian Bale e Lisandro Dominic West. Il duca, Teseo, è David Strathairn e la sua promessa sposa, la regina Ippolita, è Sophie Marceau.
Hoffman in Sogno di una notte di mezza estate dirige un vero e proprio gioco d’amore in cui ci sono rapidi lampi di brillantezza che ci aiutano a vedere chiaramente noi stessi. “Gustiamoci ora i loro battibecchi. Questi mortali, signore, che sciocchi!” (Atto II scena seconda).