Nymphomaniac divide critica e pubblico. Ingiustamente definito disgustoso e volgare, a un occhio attento si mostra per quel che è: un film intellettualmente stimolante e tanto coraggioso. Bisogna solo essere pronti a varcare la soglia e grattare il fondo.
Premetto che non si tratta di un film pornografico, nonostante si sia fatto ricorso ad attori porno per montare alcune scene di sesso esplicito; contrariamente a quanto dichiarato durante il battage pubblicitario, gli attori del red carpet hanno solo simulato quelle scene per adattarvi la CGI e questo ha facilitato, per molti di loro, la messa in scena della sceneggiatura.
Non è neanche un film erotico perché l’amore sensuale è la parte emotiva e spirituale del sesso, il che implica il coinvolgimento delle parti. In Nymphomaniac siamo davanti a un bisogno fisiologico e meccanico del corpo che deve ricevere una risposta positiva. Come se ad ogni reazione debba corrispondere un’azione. Se approcciato in questo modo, il film può essere goduto fino in fondo.
Lars Von Trier in breve
Lars Von Trier, nato nei pressi di Copenaghen nel 1953, frequenta sin da bambino il Lundtofte, un istituto dai metodi autoritari che contrastava con l’educazione impartita in famiglia, basata sull’autodeterminazione e sulla libertà di scelta; a quindici anni abbandona gli studi per proseguire da autodidatta.
Sul letto di morte, la madre gli rivelerà essere figlio biologico di un illustre compositore danese che il giovane Lars cercherà, invano, di conoscere. Nel 1975 aggiunge il patronimico Von al suo cognome, azzardando un paragone con i registi austriaci Eric Von Stroheim e Josef Von Sternberg.
Ateo convertitosi al cattolicesimo, si è sposato due volte e ha avuto due figli. Affetto da numerose fobie, è terrorizzato dall’altezza, non viaggia in aereo, prende solo treni e macchine di determinate compagnie, è ipocondriaco e ha sofferto per lunghi periodi di depressione, tossicodipendenza e alcolismo. Nel 2022, la casa di produzione cinematografica danese Zentropa, fondata dallo stesso Von Trier, ha annunciato che il regista soffre di morbo di Parkinson.
Dal piccolo al grande schermo
Cresciuto con la passione per il cinema, Von Trier inizia a lavorare per la Statens Film Central come consulente e negli anni ’70 gira controversi cortometraggi che saranno solo il punto di partenza della sua particolare poetica.
Firmatario del manifesto cinematografico Dogma 95 contro i crescenti eccessi del cinema, approda in televisione con la fama di provocatore. Viene notato da Steven Spielberg che gli propone di dirigere un progetto, ma Von Trier, disgustato dalle meccaniche hollywoodiane che il regista rappresenta, declina l’offerta.
Nelle sue pellicole, comincia a indagare il dramma umano nelle più svariate forme, dall’esistenzialismo al nichilismo, dall’attenta osservazione di ossessioni e compulsioni alla disanima delle peggiori latenze. Con Le onde del destino (1996) comincia l’ascesa verso la vetta, o la discesa nelle viscere della coscienza umana. Allo spettatore l’ardua sentenza.
Con l’avvento del digitale, gira Dancer in the dark (2000), musical sui generis con la cantante Björk, e la dilogia USA – Terra delle opportunità con Dogville (2003) e Manderlay (2005), sul vero significato del cinema. Nel 2009 inizia la “Trilogia della depressione” con Antichrist, seguito da Melancholia (2011) e Nymphomaniac (2013).
Avrebbe anche potuto ritirarsi, invece nel 2018 ci regala un altro capolavoro con La Casa di Jack, che con il precedente ha tanto da spartire. Parla di un serial killer ossessivo-compulsivo che compie un viaggio di espiazione guidato da chi di peccati se ne intende.
Sul suo cinema, senza mezzi termini, Von Trier dichiara:
“Il tutto sarebbe una metafora della vita, che è malefica e sprovvista d’anima, con un preciso segnale recente, l’avvento dell’homo trumpus, il re topo”.
Nymphomaniac
Con Nymphomaniac (2013) ci sono poche alternative: o vi conquista o vi disgusta. In entrambi i casi, il regista ha centrato il bersaglio. Tutto ciò di cui parla, ci sembra assolutamente fisiologico e connaturato all’essere umano.
Si tratta di un film da vedere in extended version e, rigorosamente, in lingua originale: il doppiaggio italiano soffre di evidenti errori di trasposizione e di un’eccessiva edulcorazione.
Nelle sue oltre quattro ore di proiezione, guarda al sesso con occhio critico, sublimandolo come parte fondamentale per l’uomo e distorcendolo in maschera buffa. La locandina parla da sola.
Come la protagonista, anch’io “non saprei da dove cominciare”. È un film che, se non si è abituati al regista, disturba a livello emotivo e fisico, sia uomini che donne, ma è impregnato di filosofia, psicologia e arte. Proviamo a fare ordine.
La trama
Nymphomaniac è diviso in due volumi; il primo si concentra sull’infanzia e sull’adolescenza della protagonista con diversi flashback, il secondo sull’età adulta e con un approccio decisamente più forte. Otto capitoli differenti per forma e genere, vanno dal film in bianco e nero, al saggio scientifico-naturalista, al dramma borghese.
Seligman (Stellan Skarsgård) soccorre una donna malconcia e dal volto tumefatto, Joe, riversa in un vicolo in evidente stato di shock, sotto la pioggia battente e le note dei Rammstein (qui la clip iniziale del film).
Und wenn ich rede bist du still, Du stirbst wen ich es will..
Comincia per lui un viaggio verso la perdizione in cui a fargli da guida è la Musa del regista danese Charlotte Lucy Gainsbourg, una ninfomane che lo porterà al cuore di ogni cosa raccontandogli la sua storia. Seligman ascolta Joe con attenzione e fascinazione perché quello è l’aspetto della vita che si è precluso con abnegazione e astinenza dai piaceri sessuali.
Il racconto di Joe non può non iniziare dall’infanzia e dalla scoperta di quella sessualità che il padre Christian Slater, nonostante si occupi di medicina e botanica, strettamente connesse alla fecondazione e procreazione, non saprà spiegarle se non con paroloni da dottore che poco si addicono a una bambina.
Dovrà scoprire da sola in che modo far abboccare il pesce alla ninfa e liberarsi di un fardello insopportabile che ostacola la conoscenza: la verginità. Non c’è alcun buon sentimento, solo una sorta di curiosità scientifica sull’argomento. Durante l’adolescenza, se il primo rapporto va giù come un bicchiere d’acqua, molti altri andranno e verranno oscillando come un pendolo tra noia e indifferenza, passando per un conteggio infinito che la perseguiterà a vita.
Von Trier paragona la ricerca del piacere alla pesca, trasformandolo in una “alimentare frenesia“. Siamo ciò che mangiamo e il sesso non è molto lontano dal soddisfacimento dell’appetito.
Il regista scandinavo butta giù la prima maschera perché la scoperta dell’autoerotismo segna l’allontanamento della donna dall’uomo; quando lei ne scopre i vantaggi, i compiti a letto iniziano a equipararsi e l’uomo, pesce spaventato e non all’altezza, va a nascondersi negli anfratti del letto del fiume, per non essere catturato.
Accusato ingiustamente di misoginia, il regista dà alla protagonista il compito di smascherare le morale comune e prendere coscienza, con sofferente orgoglio, della propria essenza.
“Io sono una ninfomane e adoro me stessa per questo, ma, soprattutto, adoro la mia lussuria sconcia e oscena”
L’uomo è ciò che mangia; l’uomo è sangue e carne; l’uomo si nutre; l’uomo deve mangiare il sangue e la carne. Altrimenti si consumerà da dentro senza esperire se stesso, mai.
In questo modo, la donna può vincere l’uomo, primo fra tutti Shia LaBeouf che si troverà a implorare amore verso colei che aveva denigrato anni prima, ma aiutato a varcare la soglia della disinibizione.
Sembra un percorso semplice da seguire, ma la piena consapevolezza di se stessi si raggiunge rinunciando sempre a qualcosa e, spesso, la soluzione sta nell’opposto.
Amore e Morte
In Nymphomaniac, l’alter ego di Joe è Seligman, il cui nome significa “colui che è felice“, che ascolta, razionalizza e cerca di dare una spiegazione logica alle azioni di Joe. Apollineo e Dionisiaco camminano assieme, il primo per rinascere a nuova vita tramite l’ebrezza, l’altro per abbracciare la luce e accettare se stesso.
Seligman osa avventurarsi lunga la via impervia con Joe, curioso di esplorare un mondo che si è negato, considerando la donna merce accessibile dato il suo vissuto. Oserà sfiorarla e tanto basterà a farla fuggire, consapevole che tutto continuerà a scorrere nel peggiore dei modi, se anche un buon uomo come lui si è spinto oltre.
Nymphomaniac è un film che accosta l’erotismo alla pulsione di morte, nello stretto legame che unisce Eros a Thanatos. L’erotismo ci riporta a una sorta di stadio primordiale che ci spinge giù e riporta su in modo sincopato e continuo. Non importa quanto faccia male, anzi, il dolore è condizione necessaria e sufficiente per la catarsi e per liberarsi momentaneamente di un senso di colpa verso… cosa? Chi?
“[…] Ho sempre chiesto di più al tramonto. […] Forse è questo il mio unico peccato”
Pretendere dal mondo, pretendere da se stessi. Sempre più. Ed esserne inevitabilmente delusi. Forse è questa la radice dell’inspiegabile senso di colpa che ci portiamo dietro. O forse no. Si chiama, comunque, masochismo.
“Io volevo l’erotismo, non l’amore. L’erotismo è dire si, l’amore è dire no”.
L’amore diventa, dunque, totale abnegazione dell’Io, perdita dell’individualismo perché si rischia di annichilirsi ed esser fagocitati dall’altro. L’unica via di salvezza apparente, come Joe dimostra, sta nel nutristi dell’altro.
Non un film qualsiasi
Von Trier non teme di mostrare l’altra faccia della medaglia, il lato oscuro dell’essere umano che esiste e non si può negare. È fisiologico sviluppare latenze, ossessioni, perversioni. La differenza sta nel tacerle. Il regista parla, anche troppo, tanto da esser definito il “masturbatore dello schermo“ che non si tira indietro davanti ai tabù perché “ogni volta che una parola diventa proibita se ne toglie una pietra dalle fondamenta”.
Von Trier dice di fare film per se stesso. Alla prima del film alla Berlinale si è presentato al photo call con una maglietta con su scritto “Persona non grata – Official Selection” in riferimento all’esclusione da Cannes nel 2011, dopo aver ironizzato su Hitler e Israele alla conferenza su Melancholia.
Non sono d’accordo. Credo faccia film per chi ha voglia di scoprire una visione altra dell’uomo, andare oltre il limite consentito dalla morale e dal perbenismo. Le chiavi di lettura del film saranno tante, in base a molti fattori, ma come sostiene Joe “una morale deve esserci“. Sempre.
Sicuramente, la prima cosa da imparare è che se qualcuno vi dice “sono un pessimo essere umano”, occorre credergli.