Tolkien è lo scrittore che, più di tutti, ha contribuito a popolare la letteratura fantasy di creature che sono entrate nell’immaginario collettivo, grazie anche alla trasposizioni cinematografiche e televisive che sono state tratte dalle sue opere. Ce ne sono così tante che David Day, autore di romanzi e poeta canadese, le ha raccolte in un Bestiario edito dalla Ballantine Books, il primo Gennaio 1979.
Nel corso degli anni, con l’approfondimento del Legendarium Tolkieniano, l’opera ha evidenziato alcune incongruenze con gli scritti originali ma, ad oggi, è un ottimo compendio per avere a disposizione l’elenco dettagliato delle creature, della flora e delle genti che abitano Arda.
Dallo studio del libro nasce l’idea di scrivere un articolo che analizzi alcune delle bestie di cui si parla, cercando testimonianze della loro esistenza in altre culture, leggende e miti. Per comodità e necessità di fare ordine, ho selezionato una serie di strane creature e le ho divise in base al loro habitat naturale, quindi navigheremo nel vasto mare per poi approdare sulla terra e spiccare il volo in alto nel cielo.
Indice
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L’Osservatore nell’acqua è una creatura di cui sappiamo ben poco. Gandalf lo descrive come qualcosa di più antico e malvagio degli orchi, quando la Compagnia dell’Anello si dirige alle miniere di Moria per evitare di attraversare il pericolosissimo passo del Caradhras, il 13 Gennaio 3019 della Terza Era. Il Grigio non sa dire oltre in merito, ma dalle sue parole sembra di capire che il custode del cancello occidentale sia una creatura senza tempo, probabilmente più antico degli Elfi, nato dalla malvagità di Morgoth.
Ne Il Signore degli Anelli, si parla di lunghi orridi tentacoli che terminano in dita di un verde fluorescente, di una potenza incredibile, in grado di abbattere le Porte di Durin e sradicare gli Agrifogli ai loro lati, nel tentativo di fermare la Compagnia. Ma come è giunto fino a Khazad-dûm? Probabilmente, dopo la Guerra d’Ira è fuggito dal Beleriand e ha fatto dello stagno generato dal Sirannon la sua dimora. Quando i Nani di Balin hanno cercato di riconquistare la loro casa, vi si è scagliato contro, ferendo a morte Oin, cugino di Balin.
Molto probabilmente l’Osservatore di Tolkien si ispira a una creatura leggendaria diffusasi tra il Settecento e l’Ottocento tra i navigatori europei che solcavano gli oceani alla scoperta di nuove terre da conquistare: il Kraken. Il termine norvegese krake rimanda a un albero rinsecchito dall’eradicazione, la cui forma contorta dei rami farebbe pensare ai tentacoli della creatura che si presenta come un enorme cefalopode in grado di inabissare una nave con la sua forza.
Dal momento che le leggende hanno sempre un fondo di verità e, spesso, spiegano fenomeni inspiegabili (dall’alba dei tempi, è connaturato all’uomo darsi una motivazione per rendere ragionevole e accettabile ciò che vede, soprattutto se più grande e pericoloso di lui), si è cercato di far luce su questa strana creatura marina; il Kraken potrebbe essere stato un calamaro gigante o, addirittura, un effetto ottico dovuto alla rifrazione della luce sulle onde del mare.
Se, però, l’uomo moderno tenta di dare una spiegazione a tutto e rifugge dal meraviglioso delle creature fantastiche, non mancano testimonianze scritte sull’avvistamento reale di tale creatura. Plinio il Vecchio, nella sua Naturalis Historia, parla di una bestia marina con appendici simili a rami di un albero che vive nel mare di Cadice, mentre il vescovo norvegese Erik Pontoppidan (Storia naturale della Norvegia) la descrive come “il più grande e il più impressionante animale [pacifico] del Creato e senz’alcun dubbio il mostro marino più grande del mondo“.
Il Kraken impressionò così tanto gli scrittori da essere menzionato nei romanzi di Herman Melville (Moby Dick, 1851), Victor Hugo (I lavoratori del mare, 1866) e Jules Verne (Ventimila leghe sotto i mari, 1869-1870). Oggi continua a vivere di numerosi richiami in ambito fumettistico, con la serie di Sub-Mariner della Marvel, e cinematografico con la saga Pirati dei Caraibi, dove compare negli episodi La maledizione del forziere fantasma e Ai confini del mondo (Gore Verbinski, 2006 e 2007).
Non è ben chiaro se la creatura fosse una tartaruga o una balena, ma potrebbe essere una fonte attendibile a cui Tolkien abbia attinto per parlare del suo Fastitocalone. Nella prefazione de Le avventure di Tom Bombadil, l’autore racconta di aver trovato le poesie nel Libro Rosso delle Marche Occidentali, da cui sarebbe derivata la narrazione dei fatti avvenuti ne Il Signore degli Anelli. Molte di quelle si trovavano su pagine sciolte, altre ai margini del testo o tra gli spazi bianchi e, proprio dai marginalia, proviene la poesia sul Fastitocalone.
Tolkien lo descrive come un’enorme tartaruga che viveva sommersa in mare e sul cui carapace si era creato un vero e proprio ecosistema con alberi e cespugli; si tuffava in mare non appena gli incauti viaggiatori accendevano fuochi sul suo guscio, proprio come raccontato da Brandano. Si tratta di una creatura pacifica da cui, però, è bene tenersi larga. Infatti, l’invito in chiusura di poesia è quello di seguire il consiglio dei marinai e non sbarcare su isole ignote, ma trascorrere in pace la vita fugace nella Terra di Mezzo.
Tamburi sulla terra
“Come un topo son grigio / e grande come un edificio, / il mio naso è un serpente / e il mio passo irruente / fa tremare la terra / molto più di una guerra.
Con due corna in bocca / camminar mi tocca […] Io sono Olifante / il più importante / il più grosso e il più grande”
Esistono creature possenti e dall’impatto devastante che calpestano la Terra di Mezzo e sono usate in battaglia come armi micidiali: i Mumakil. Chiamati anche Olifanti in Ovestron, lingua corrente dei Dúnedain, sono simili agli elefanti (di cui sono gli antenati), ma molto più grandi come si evince dalla poesia scritta da Samwise Gamgee (o Samplicio secondo la traduzione di Ottavio Fatica) che si trova nel già citato Le avventure di Tom Bombadil.
Vivevano nelle terre meridionali di Harad nella Terza Era e, quando la Guerra dell’Anello imperversava, furono chiamati da Sauron per marciare su Gondor. Bardati di bandiere rosse e cinghie in oro e ottone, reggevano sul dorso delle torri su cui sedevano arcieri e lancieri Haradrim. La loro pelle era così spessa da essere immune alle frecce e le loro zampe tanto grandi da schiacciare i guerrieri nella furia della corsa; con zanne e proboscidi abbattevano, in un solo colpo, una gran quantità di avversari.
Il loro unico punto debole erano gli occhi perché, una volta accecati soffrivano ed erano disorientati e, con l’imponente mole, diventavano un pericolo per i loro stessi padroni; oltre che essere infastiditi dal fuoco. Peter Jackson ci dà una versione abbastanza fedele di queste bestie che Sam e Frodo incontrano nell’Ithilien e che sono state fonte di distruzione nella bellissima battaglia ai Campi del Pelennor.
I Mumakil dovrebbero tornare anche nell’adattamento anime in uscita questo 13 Dicembre, The War of Rohirrim, diretto da Kenji Kamiyama e sceneggiato da Phoebe Gittins e Arty Papageorgiou. Il lungometraggio si concentrerà su Helm Mandimartello, nono re di Rohan che ha dato il nome al celebre fosso, e sua figlia Hera e narrerà i fatti accaduti circa due secoli prima degli eventi narrati dalla trilogia di Jackson.
L’arte di domare gli elefanti e usarli in guerra nacque in tempi antichi nella Valle dell’Indo, circa quattromila anni fa e si diffuse rapidamente in Occidente, dove furono impiegati da Tolomei, Cartaginesi e berberi della Numidia. I primi a scontrarsi con questi animali furono i romani durante la Battaglia di Heraclea del 280 a.C. che, non avendoli mai visti, li definirono buoi lucani e ne furono letteralmente terrorizzati. Infatti, le legioni non poterono nulla contro di loro e furono sbaragliate dall’esercito di Pirro, re dell’Epiro.
Successivamente, sarà il cartaginese Annibale e portare con sé trentasette elefanti che però, nella famosa valicata delle Alpi, morirono quasi tutti di stenti. Tra i superstiti, l’elefante del generale stesso che combatté strenuamente durante la seconda guerra punica (218-202 a.C.), per morire di malaria poco dopo. A Surus, il condottiero dedicherà l’edificazione di una città.
Gli Olifanti non sono le uniche bestie che si muovono sulla Terra di Mezzo e terrorizzano le genti, poiché ve ne sono di più laide e silenziose: i ragni Ungoliant e Shelob (o Aragne nella versione del Fatica). Colmo di invidia, avidità e veleno, Ungoliant entrò nel mondo prima della creazione degli Alberi dei Valar e di questi si nutrì, divorandone la luce. Ribellatosi a Morgoth, fu ricacciato dal nord dalle fruste dei Balrog e si diresse nel Nan Dungortheb, la valle della morte spaventosa, dove dimoravano altri della sua specie.
Qui generò molti figli, la maggior parte dei quali morì durante la Guerra d’Ira. Tra i pochi sopravvissuti, Shelob, che oltrepassò i Monti azzurri, trovò rifugio a Cirith Ungol e vi rimase per due ere.
“[···] filava nere ragnatele e vomitava tenebre dal ventre. Aveva veleno nel grande becco e nelle corna e su ognuna delle sue molte nodose zampe, tutte giunture, si trovava un lungo artiglio di ferro [···] con peli simili a punte d’acciaio e il ventre reso chiaro dai suoi verdi escrementi e luminoso dai suoi settici veleni”
Nel Libro Rosso si narra che Samwise Gamgee cavò uno dei suoi grandi occhi e la infilzò con la lama elfica. Non si sa bene come sia morta, se a causa della ferita o in seguito alla caduta di Mordor, quando tutte le creature figlie del Male si estinsero. Il primo a mostrare Shelob è stato Peter Jackson, perché le versioni animate di Rankin-Bass e Ralph Bakshi omettono la sua presenza, limitandosi a dei riferimenti indiretti; Bakshi l’avrebbe mostrata nel seguito del suo adattamento animato che, come sappiamo, non venne mai realizzato.
Il ragno è un animale che, contrariamente a quanto si possa pensare, è simbolo di fertilità e creatura di buon auspicio. Con la capacità di tessere intricate ragnatele, è associato all’atto della creazione, quindi non deve stupire che ci si riferisca ad esso come la Grande Madre (un richiamo di questa natura è evidente nel film di Denis Villeneuve del 2013, Enemy).
Una piccola curiosità che esula dal simbolismo e dalla mitologia è che, essendo ampiamente diffusa la fobia dei ragni, sono stati portati avanti studi clinici sulla problematica: secondo le valutazioni, chi sarebbe affetto da aracnofobia vivrebbe continui conflitti relazionali con la madre e tale ambivalenza tornerebbe negli spostamenti transferali, dunque nelle relazioni di coppia o amicali. A confermare lo stretto legame che intercorre tra il ragno e la maternità.
L’importanza dell’aracnide non si ferma qui perché tessendo muove i fili su cui corre il destino delle genti e genera connessioni che vanno al di là della dimensione umana; in molte culture indigene, infatti, il ragno interconnette tutte le cose dell’universo portando equilibrio e armonia tra le parti.
Nella cultura popolare di massa, dire ragno significa dire amichevole Spider-Man di quartiere, il personaggio di formazione più importante che la Casa delle Meraviglie abbia ideato; l’Uomo Ragno sperimenta sulla sua pelle il senso del dovere e soprattutto, le grandi responsabilità che gravano sulle spalle di un adolescente, mostrandosi umano e fallibile.
Degno di menzione, sia in ambito letterario che cinematografico è Aragog, il ragno lungo quattro metri e mezzo che incontriamo nella saga di Harry Potter. In omaggio a questa creatura, alcuni ricercatori iraniani hanno battezzato Lycosa aragogi una specie scoperta nel 2017, molto somigliante a quello descritto da J.K. Rowling, nonostante misuri solo ventisei millimetri.
Gli occhi e le orecchie degli Dei
Negli scritti di Tolkien, si fa riferimento a diversi tipi di uccelli provenienti dalla Terra di Mezzo, in particolare le Aquile e i Corvi. Le Aquile sono sicuramente le creature più maestose di Arda perché discendono dai Valar Manwe e Yavanna, il Signore dell’Aria e la Regina della Terra, di cui furono messaggeri da prima che fossero accese le Stelle. Più antiche degli Elfi, volano sopra il mondo e giungono sulla Montagna Sacra del Taniquetil per parlare con i loro creatori.
Si narra che, durante la prima Era del Sole, vivessero le aquile dei Monti Cerchiati e il loro ruolo fu determinante nella guerra per i Silmaril. La più grande e maestosa fra tutti era Thorondor, la cui apertura alare era pari a trenta braccia e la sua velocità superava quella del vento in tempesta. Con una tale potenza, nel Quenta Silmarillion, si dice che ebbero la meglio anche contro il più grande dei pericoli, i draghi del fuoco.
Nella Terza Era, invece, a primeggiare tra questi alati fu il signore del vento Gwaihir, capo delle aquile dei Monti Brumosi. Sarà lui, con i fratelli Landroval e Meneldor la veloce, a salvare Frodo e Sam dall’eruzione del Monte Fato dopo la distruzione dell’Anello.
Nella mitologia greca, l’aquila era il simbolo divino di Zeus, per diventare poi simbolo di potere nella Roma imperiale, quando fu adottata come insegna delle legioni. Essendo animale rappresentativo di luce e potenza, nell’iconografia cristiana, rappresenta il trionfo del bene sul male, nutrendosi di serpenti.
È una creatura diffusa davvero in ogni cultura esistente, spesso anche utilizzata come amuleto, talismano e totem, perché con la sua costanza e la grande percezione delle cose si ritiene sia in grado di difendere dalla paura e dalle crisi spirituali. Sicuramente uno dei rituali più particolari in cui è protagonista è l’aquila di sangue vichinga, una pratica che consisteva nell’aprire il dorso dei traditori e dei nemici e rompergli le costole, in modo da farle sembrare delle ali insanguinate. Tale rituale, oggi considerato un falso storico, pare fosse un sacrificio al Dio Odino.
I corvi imperiali di cui ci parla Tolkien sono animali senzienti e parlanti, infatti Roac figlio di Carc dominava questa specie da oltre centocinquant’anni e parlava fluentemente la lingua dell’Ovestron per portare notizie ai Nani di Durin, di cui erano saggi consiglieri. Dimoravano nei pressi della Montagna Solitaria, in un luogo chiamato appunto Collecorvo.
Si racconta che una parte di loro, i Crebain – più simili a grosse cornacchie provenienti dalla Foresta di Fangorn – fu soggiogata dal potere oscuro e posta al servizio di Saruman per rintracciare il portatore dell’Anello. Anche queste ultime creature parlavano la lingua degli uomini e conoscevano un particolare dialetto degli alati di cui non ci è data testimonianza. Spesso ordivano imboscate e complotti per divorare poi le carogne e saziarsi.
Nella trilogia dell’Anello diretta da Peter Jackson ci vengono mostrate mentre sorvolano Cornorosso e il Fosso di Helm e sono ben diverse dalla descrizione che Tolkien fa nei romanzi, perché appaiono come normalissimi corvi, piuttosto che molto più grandi.
L’idea dei corvi usati per spiare o controllare quanto accada nel mondo è un motivo che torna nella mitologia antica, in particolare quella norrena. Odino, infatti, dispone di Huginn e Muninn, pensiero e memoria, due grossi corvi che lascia liberi all’alba per sorvolare i nove mondi retti da Yggdrasil e farsi raccontare tutto alla sera, quando gli animali fanno ritorno dal dio. Per questo motivo, il padre degli Asi è definito anche il il dio-corvo.
Sono più che fedeli servitori del dio, non sono solo le sue orecchie e i suoi occhi, perché la loro importanza affonda nella dimensione della percezione in quanto estensione mentale del dio stesso, bramoso di conoscere universalmente il tutto. Per questo motivo sono le creature più importanti della mitologia nordica, che dà un’importanza particolare all’intelletto e alla riflessione, alla mente e alla memoria, elementi necessari per comprendere il mondo e prendere decisioni sagge.
Nel corso dei secoli il corvo ha perso tali sfumature per caricarsi di mistero, se pensiamo che già con i Celti erano associati a Morrigan, la dea della morte, dunque sorvolavano i campi di battaglia per nutrirsi dei guerrieri caduti. Dall’altra parte, secondo la visione britannica, i corvi diventano simbolo della continuità del potere imperiale, se teniamo conto della leggenda secondo cui l’Inghilterra sarebbe caduta quando i corvi avrebbero lasciato la Torre di Londra, in cui venivano imprigionati i nemici della Corona.
Una creatura misteriosa per Tolkien
I fondali marini sono il luogo più inesplorato della terra se pensiamo al fatto che ne conosciamo soltanto il 20%. A migliaia di metri sotto il livello del mare c’è un mondo abitato da esseri che si sono dovuti adattare a condizioni estreme, come la forte decompressione e la totale mancanza di luce, dunque, hanno sviluppato caratteristiche che li rendono dei veri e propri mostri.
Tali misteri sono alla base delle leggende che popolano la letteratura e la mitologia da sempre. Una delle più note è quella scozzese di Nessie, un serpente marino che pare abiti il lago di Loch Ness, avvistato per la prima volta nel 566 d.C da un monaco irlandese che lo descrisse come “una selvaggia bestia marina“. Dal 1930 gli avvistamenti sono aumentati tanto che il sito è diventato un vero e proprio luogo di visite di curiosi e studiosi perché, fantasia a parte, potrebbe trattarsi della incredibile scoperta di una specie che si credeva ormai estinta da tempo.
Se parliamo di enormi serpenti o draghi che abitano il mare, non possiamo non pensare alla mitologia norrena che ci ha donato una delle creature più belle di tutte: Miðgarðsormr. Conosciuto anche con il nome Jǫrmungandr che significa demone cosmicamente potente, vive in Scandinavia, è figlio di Loki e della gigantessa Angrboða, e si narra sia talmente lungo da abbracciare la Terra intera. Alla fine del mondo, quando giungerà il Ragnarǫk, sarà ucciso dal dio Thor, che perirà egli stesso a causa del veleno del mostro.
Ma non è tutto. Di cultura in cultura le creature marine sono onnipresenti perché secondo alcuni studiosi la partecipazione di Miðgarðsormr alla fine del mondo ha degli stretti legami con il capitolo tredici dell’Apocalisse di Giovanni: qui si parla di una Bestia del mare che, con le sue dieci corna con diademi e sette teste, avrebbe imposto agli uomini di adorarla e imprimere sulle loro fronti e le le loro mani destre il suo numero (il sei-sei-sei).
Mi piace credere che Tolkien abbia attinto anche da fonti di questo tipo per creare la sua bestia marina.
Nella serie Gli Anelli del Potere, abbiamo visto una giovane Galadriel naufragare nel Belegaer ed essere salvata da un gruppo di superstiti alla tempesta che ne ha distrutto le navi. Un pericolo ulteriore arriva anche dal mare, dove si muove una creatura lunga come un enorme serpente dalla pelle squamosa e dal dorso crestato..
Potrebbe trattarsi del Pesce drago, una particolare razza di drago marino menzionato fugacemente negli scritti linguistici elfici, come si legge in The lost road and Other Writings. E che il mare, secondo Tolkien, fosse popolato da molte creature è confermato ne Le avventure di Tom Bombadil, dove leggiamo che “ci sono molti mostri nel mare“.
Non ci resta che aspettare e sperare ci mostrino questa nuova e misteriosa creatura nella seconda stagione della serie, in onda dal 29 Agosto.