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Tolkien: non solo Il Signore degli Anelli – Top 5 romanzi da leggere

Il Signore degli Anelli

Più che un articolo, questa è la storia di come ho conosciuto J.R.R. Tolkien, e un invito ad andare oltre Il Signore degli Anelli perché scoprirete un mondo ancora più vasto di Arda. E dopo un po’ di romanticismo letterario, vi consiglierò cinque romanzi del Professore da leggere assolutamente.

 

JRR Tolkien
Il Signore degli Anelli

L’incontro con Tolkien

Vi racconto come ho conosciuto il Professore. Da un furto. Non fraintendetemi, sono una brava persona.

Tutto comincia nel 2000 circa, durante i primi anni del liceo quando a me e al mio compagno di banco non andava di seguire matematica. Un giorno arriva con un mattone esagerato nel suo zaino Invicta e me lo mostra: Il Signore degli Anelli di J. R. R. Tolkien, traduzione Alliata, prefazione di Quirino Principe. Lo aveva letteralmente sottratto dalla libreria della sorella che ci teneva tantissimo e gli aveva vietato di toccarlo (e ora ne comprendo il motivo perché, di fatto, quell’edizione non esiste più).

Il titolo del suddetto mattone sembrava interessante e cominciamo a leggerlo tra un cambio lezione e l’altro, durante l’intervallo o… sì, quando entravamo alla seconda ora per saltare fisica (sia quella dei corpi galleggianti che quella dei corpi che girano intorno alla palestra). Siamo arrivati all’ultima pagina con le lacrime agli occhi, nel sottoscala della scuola e, se doveste chiedermi quale immagine più mi sia rimasta impressa di quel viaggio, vi risponderei con la Contea che brucia.

Ripeto, sono una brava persona. Semplicemente, quel finale si carica di un significato drammatico perché, nonostante tu possa sconfiggere il Male, questo si radica talmente in profondità da cambiare tutto e far sì che nulla mai torni come prima. Il Signore degli Anelli non ha un lieto fine, come erroneamente si pensa.

 

La Compagnia dell’Anello

 

A quattordici anni però non avevo gli strumenti per capire quell’opera immensa, potevo solo entusiasmarmi per il legame che univa la Compagnia dell’Anello, desiderare l’amore che Aragorn provava per la sua Arwen, addolorarmi per il destino di Frodo ed essere rapita dalla cattiveria che muoveva Sauron. Tanta pancia, poca testa.

Nel 2002, in Italia esce La Compagnia dell’Anello, l’adattamento cinematografico di Peter Jackson. Ed è l’inizio della fine. Quel film parlava alla mia pancia esattamente come il romanzo e, ora che son passati più di vent’anni, non ha mai smesso: sia che mi senta giù o che sia felice, sia da sola o con qualcuno, rivedo la trilogia più volte al mese. A volte è semplicemente lì, in sottofondo mentre faccio altro, a farmi compagnia.

Nel 2006 ero pronta per il salto di qualità: comprare il mio volume, leggerlo e studiarlo in rapporto al film, analizzandone le differenze. Ce n’erano tante, ma il lavoro del regista neozelandese è stato grandioso. Quelle variazioni, dettate da esigenze cinematografiche, non mi hanno mai turbato. A turbarmi è stato il fatto che avessi prestato quel volume e non sia mai tornato indietro.

Nel frattempo erano usciti gli altri due capitoli della trilogia, Le due Torri e Il ritorno del Re, erano cambiate le edizioni e le traduzioni, ma non ho smesso di cercare e, dopo diciassette anni sono riuscita a trovare la mia vecchia versione ormai fuori commercio, corredata di mappa della Terra di mezzo. Nell’attesa ho letto e riletto Lo Hobbit e Il Silmarillion; del primo, tra 2012 e 2014 è uscita la versione non molto fortunata dello stesso Peter Jackson, del secondo una serie tv – Gli Anelli del Potere –  che, in parte, attinge a fatti raccontati in quel bellissimo manuale di mitopoiesi.

 

Gli Anelli del Potere

 

Piano piano, il nome di Tolkien ha iniziato a diffondersi tra la gente che, incuriosita, si è imbarcata nell’avventura e ha letto i sopracitati romanzi, soprattutto Il Signore degli Anelli, caposaldo del genere fantasy. E basta. Calma, non agitatevi. Sicuramente è innegabile che la maggior parte della gente abbia letto le sue opere principali rispetto all’intera bibliografia, comparando romanzi e studiandone le fonti. C’è così tanto da leggere che ognuno di noi è libero di scegliere quale strada percorrere e se specializzarsi in un genere o un autore. Di qui le etichette che non sono solita usare, ma…non ci si può improvvisare tolkieniani senza aver viaggiato tra le pagine della sua vita.

Un paio di anni fa, ho iniziato a scrivere del prof, prima come revisore e correttore di bozze, poi come redattore di schede bibliografiche e sinossi dei suoi romanzi. Dopo qualche mese, ho preso coraggio e l’ho portato sulle pagine social. La gente ha iniziato ad ascoltarmi e contattarmi per consigli di lettura e lì ho pensato di spingere affinché andassero oltre e scoprissero il lavoro immenso che si nascondeva dietro Il Signore degli Anelli.

E ora sono qui a dire non so bene cosa perché quando un autore ti entra sotto pelle e ti cambia la vita, è difficile parlarne. Rischi di essere o troppo smielato o troppo distaccato e in entrambi i casi la possibilità di dire cose insulse è alta. Quindi, bando alle smancerie e passiamo al lato hot dell’articolo.

 

La top 5 da leggere

Mi risulta davvero difficile stilare una classifica dei migliori romanzi di Tolkien, per quanto sia l’autore che conosca di più e di cui abbia letto quasi tutto. Grazie ai blog e alle rubriche ho avuto la possibilità di scavare a fondo e leggere opere che, apparentemente, non avevano nulla a che fare con Il Signore degli Anelli. Dico apparentemente perché ho capito che tutto ciò che ha scritto è stato un banco di prova per l’opera magistrale che è costruita su un’impalcatura enorme.

Senza i suoi romanzi non avremmo mai viaggiato diretti al Monte Fato e non sarebbe esistito quello che definisco “l’altro Tolkien“. Quindi, andiamo oltre il legendarium e scorriamo la classifica dei cinque romanzi che dovete assolutamente recuperare per capirlo e apprezzarlo come storico, linguista e cantastorie.

 

I romanzi principali della Terra di Mezzo

 

 

Foglia di Niggle

Cominciamo subito con il suo testamento, Foglia di Niggle, il libro che mi emoziona sempre perché Tolkien si mette a nudo con tutte le sue paure e incertezze sul difficile mestiere dello scrittore. Si tratta di un libro estremamente metaforico e autobiografico, così profondo da esser stato letto durante la celebrazione dei suoi funerali nel 1973, nel cimitero di Wolvercote a Oxford.

Niggle è un pittore alle prese con il suo ultimo quadro. Nella sua testa vede un albero dai rami frondosi e rigogliosi e uccellini tutto intorno. Dietro, si stagliano immense montagne. Ciò che è così grande nella sua testa, si immiserisce sulla tela che resta bianca. Il pittore, screditato da tutti, è spesso interrotto durante il suo lavoro, costretto ad aiutare i vicini di casa in difficoltà e sistemare altre incombenze, tra cui un viaggio. Non sa bene dove sia diretto ma, nel luogo misterioso e sconosciuto in cui sarà condotto, Niggle avrà modo di pensare a se stesso. Ne uscirà cambiato nel profondo e pronto a terminare il suo quadro.

Foglia di Niggle rappresenta le paure dello scrittore che sente su di sé il peso della creazione e la difficoltà di impoverire quanto di grande animi la sua fantasia. Niggle (alter ego di Tolkien che si definiva niggler, cioè pignolo) rappresenta l’autore durante il processo creativo e l’albero da dipingere è la storia da raccontare; mentre la tela bianca è il blocco che coglie chiunque abbia qualcosa di importante da dire.

Da dove nasce tale ansia? Tra gli anni ’20 e ’30, Tolkien era alle prese con Il Silmarillion, Lo Hobbit e la genesi de Il Signore degli Anelli. Di tanto in tanto scriveva anche quelle poesie che sarebbero confluite ne Le Avventure di Tom Bombadil ma, all’alba del 1940, era fortemente angosciato avendo concretizzato ben poco. La pressione degli editori e gli impegni accademici peggioravano la situazione.

A un livello ancora più profondo, Niggle compie un viaggio che dalla morte lo conduce in una specie di Purgatorio per rinascere a nuova vita dopo la catarsi e vedere tutto con chiarezza. Successivamente alla sua “prigionia” in quel luogo non ben specificato, infatti, tornerà a casa sua e vedrà il suo albero terminato, l’Albero di Amalion. Ma…lascio scoprire a voi il finale, tenendo presente che si svolge su due piani: nell’Altro mondo e nel mondo reale, quello che Niggle abbandona. Quindi ci troveremo davanti alle fantomatiche discatastrofe ed eucatastrofe, decostruzione e costruzione.

 

Foglia di Niggle

Il ritorno di Beorhtnoth figlio di Beorthelm

Cavalieri di Rohan, preparatevi a vivere una battaglia epica e a indagare la storia da un punto di vista del tutto innovativo. Il ritorno di Beorhtnoth figlio di Beorthelm rivede la traduzione di William Paton Ker del 1887 sulla battaglia di Maldon del 991 d. C. quando le truppe anglosassoni affrontarono i vichinghi che, dalla Norvegia, avevano raggiunto la Northey Island.

A dividerli dai sassoni, la causeway sul fiume Blackwater, una strada rialzata percorribile solo durante la bassa marea che i nemici hanno attraversato con il permesso del conte Beorhtnoth. Come è possibile? Il poema è il resoconto di un grande errore: facendo leva sull’orgoglio dei sassoni, i vichinghi chiesero al Conte di poter oltrepassare la causeway e combattere faccia a faccia ad armi pari; desiderio esaudito perché in battaglia la vigliaccheria era motivo di onta e disonore. Questo fu il motivo per cui Beorhtnoth cedette terreno agli avversari.

Durante lo scontro, il Conte e la sua cerchia di uomini fidati persero la vita e i pochi sopravvissuti fuggirono. Qui Tolkien ribalta la tradizione e pone sotto un’ottica più umana il concetto di eroe. Prima di tutto, Beorhtnoth è morto a causa del suo ofermod – orgoglio smisurato – e, per dar materia a canti possenti, ha portato alla rovina la sua gente. In secondo luogo, per l’autore, l’atteggiamento più naturale è proprio quello dei soldati che fuggono, spinti dall’istinto di sopravvivenza e dalla conservazione della specie. Insomma, sono finiti i tempi dei grandi cavalieri che si sacrificano per l’onore.

La necessità di rivedere le vecchie traduzioni del poema nasce dal bisogno di tradurre bene il termine ofermod che dai più era reso con temerarietà e spogliava la vicenda del suo reale significato. Per Tolkien. orgoglio soverchiante era il termine più adatto a riassumere quello che, nei pressi di Maldon, era effettivamente successo. L’autore, in questo modo, stronca sul nascere l’antico concetto, aristocratico e individualista, di eroismo incarnato dal Conte Beorhtnoth.

Se vi emoziona il discorso di Re Théoden prima della battaglia ai campi del Pelennor, vi consiglio di leggere questo breve poema che vi permetterà anche di approfondire un piccolo spaccato di storia anglosassone.

 

La battaglia di Maldon

Mr. Bliss

Allacciate le cinture e preparatevi a una serie di divertentissime avventure a bordo della macchina gialla di Mr. Bliss, un distinto signore dal cappello strambo, amico di un giraniglio (una giraffa con orecchie da coniglio) che abita “in un buco nel terreno” di casa sua. Ogni riferimento è puramente casuale, anzi, vi dirò di più: giraniglio in inglese suonerebbe girabbit, molto simile a Hobbit. A voi le conclusioni.

Pubblicata postuma negli anni ’80, la storia nasce dalle disavventure automobilistiche dello stesso Tolkien che, appena acquistata la sua prima automobile, nell’arco di una giornata riuscì a forare due volte e avere un piccolo incidente. Nonostante il racconto sia passato un po’ in sordina, nel 2004 diventa un cortometraggio introvabile girato dal regista russo Gennadij Tiscenko.

Dunque…  il signor Bliss acquista un auto a credito lasciando in pegno la sua bicicletta e, tra una curva troppo larga e una troppo stretta, si ritroverà con il mezzo ammaccato, costretto a scorazzare di qua e di là la signora Knight, il signor Day, un ciuco, delle rape e delle banane, tutti diretti nel bosco abitato dai tre Orsi; questi, prima li terrorizzeranno con della vernice bianca fluorescente nel cuore della notte, poi li ospiteranno a casa loro per cena. E da lì, via da una parte all’altra, a bordo della macchina del signor Bliss fino al lieto (forse) epilogo.

A chiunque mi chieda perché leggere questa storia, rispondo dicendo che fa ridere per davvero e ci svela il lato comico dell’autore, apprezzato anche dai più piccoli, grazie ai disegni originali dell’autore che imprimono nella memoria le disavventure del protagonista.

 

Mr. Bliss

Roverandom – Le avventure di un cane alato

Che siate bambini o no, poco importa, Roverandom vi farà viaggiare per mare, per terra e vi porterà fin sulla Luna. Si tratta della storia di Rover, un cagnolino trasformato in giocattolo da uno stregone vestito di cenci (Gandalf?) a cui aveva fatto un dispetto. Impossibilitato a muoversi, se non di notte, verrà portato da un posto a un altro e scoprirà incredibili mondi, prima di tornare alla sua forma originale.

Non ho trovato riferimenti diretti, ma sono quasi certa che Tolkien abbia letto Pinocchio e L’Orlando Furioso. La trasformazione di Rover in giocattolo, il suo viaggio sull’Isola dei cani e le fatiche vissute per tornare cagnolino vero ricordano troppo le avventure raccontate da Carlo Collodi nel 1883; dall’altra parte, non è la prima volta che Tolkien usa la Luna come sfondo delle sue storie.

Già ne Le avventure di Tom Bombadil era menzionato l’Uomo della Luna che qui abitava, mentre in Roverandom è lo stesso cagnolino che ci vivrà per del tempo, conoscerà il suo doppio e un Mago che lo aiuterà a tornare a casa. Queste coincidenze mi portano a pensare ad Astolfo sulla Luna con l’Ippogrifo alla ricerca del senno perduto di Orlando, vicenda cardine del primo fantasy italiano ad opera di Ludovico Ariosto.

Il racconto è molto delicato e nasce, anche questo, da una storia vera. Il figlio di Tolkien, Michael, perde il suo cane giocattolo in spiaggia, durante una vacanza nello Yorkshire nel 1925. Immaginate la disperazione del bambino. Il padre allora comincia a raccontargli la storia del cane Roverandom (dall’inglese girandolone) e delle sue avventure per fargli capire che “non tutte le lacrime sono un male” e non bisogna mai perdere la speranza.

Una storia che va letta su diversi piani tra cui quello del percorso di formazione, plot che ha fatto la fortuna di tutto un filone della letteratura europea a cavallo tra Settecento e Ottocento. Poco importa se il protagonista non sia un giovane rampollo in cerca di affermazione; anche Rover deve trovare se stesso e prendere coscienza di ciò che è.

Il romanzo ha una triste storia editoriale perché venne pubblicato dalla casa editrice Allen&Unwin che era più interessata al seguito de Lo Hobbit che a un racconto qualunque. Quindi, vi consiglio di leggerlo e, per convincere i più nostalgici, vi dico che leggendo di Rover, penserete a Falkor e Atreyu, protagonisti de La storia infinita di Michael Ende del 1979 e dell’omonimo film del 1984 di Wolfgang Petersen.

 

La storia infinita

Il Medioevo e il Fantastico

Dulcis in fundo, un bel saggio sulle fiabe e sul miglior modo di tradurre grandi classici della letteratura anglosassone, anzi…   sui motivi per cui andrebbero tradotti bene. Ammetto che la lettura di questo libro sia impegnativa perché raccoglie sei interventi sulla materia fantastica e fiabesca e, in chiusura, il discorso di commiato tenuto all’Università di Oxford prima del suo ritiro come docente di Lingua e Letteratura Inglese.

I primi saggi hanno il compito di dare spessore a questo genere considerato spesso appannaggio dei più piccoli, cui non è negato l’accesso agli adulti, capaci di immaginazione. Ed è solo grazie a quest’ultima che si è in grado di plasmare mondi secondari attraverso la subcreazione, tanto cara al padre di Arda. Nel processo, un aspetto da non sottovalutare è la loro edulcorazione, motivo per cui non vedeva di buon occhio le scelte adottate da Walt Disney. In merito agli aspetti più forti delle storie, scrive:

“Se si risparmiano questi aspetti ai bambini, bisognerebbe risparmiare loro tutta la storia”

I saggi sui poemi anglosassoni, invece, prendono le mosse da traduzioni inesatte che hanno privato i capisaldi della letteratura anglosassone antica dello spessore che meritano. La disamina analizza tecnicamente le differenze tra le varie lingue adottate nel corso degli anni in un discorso profondo sul senso della filologia.

In tal direzione, meritano attenzione le parole del Professore sulla materia filologica pronunciate durante il discorso di addio alla carriera universitaria:

“Non ho mai pensato che la si dovesse ficcare giù per la gola dei ragazzi, come una medicina, che riesce tanto più efficace quanto più è nauseabondo il suo sapore, e trasformare una materia il cui significato è “amore per le lettere” in misologia, – odio per le stesse”

Ciò dimostra quanto, durante il suo lavoro, Tolkien si sia dedicato con passione a ciò che amava e abbia cercato di risvegliare, nelle giovani menti e coscienze, il piacere dello studio. L’opera è stata curata dal figlio Christopher che ha raccolto l’eredità del padre e deciso di dar voce a tutti gli scritti non ancora pubblicati. Perché Tolkien ha ancora tanto da dire.

Suggerirvi di leggere Il Medioevo e il Fantastico è una scelta strategica, perché vi verrà voglia di leggere Il cacciatore di draghi e Il fabbro di Wotton Major, il Beowulf e il Sir Gawain. E dopo aver fatto ciò, sono sicura vorrete vedere l’adattamento cinematografico di David Lowery, The Green Knight, del 2021, con protagonisti Dev Patel, Alicia Vikander e Barry Keoghan.

 

Sir Gawain e il Cavaliere Verde

Un ultimo consiglio di lettura

Non finisco mai una classifica senza una bonus track. Non potete non leggere le Lettere scritte dal Professore dal 1914 al 1973, di cui uscirà una nuova edizione ampliata con 150 “nuove” lettere escluse in precedenza per rendere il volume pubblicabile. Quando avrete letto abbastanza della sua bibliografia, cominciate a sfogliare questa raccolta e vivetela come un manuale da consultazione. Ricco di informazioni sulla stesura delle sue opere, testimonia i suoi rapporti con il mondo accademico e quello editoriale e parla di particolari aspetti della sua vita privata con le poche lettere scritte alla moglie Edith, la sua Luthien, durante gli anni della grande guerra.

Soprattutto, conoscerete il genio caparbio e consapevole della grande opera che stava creando con il suo sangue, come Tolkien stesso scriverà a un editore che proponeva tagli e rimaneggiamenti intollerabili; conoscerete il Tolkien botanico impegnato a classificare la flora della Terra di Mezzo, lo storico intento a compilare gli annali dei re, il politico, il filosofo, il credente…  e sarete pronti per andare oltre.

Una delle lettere che meglio riassume la sua visione del mondo, nonché la mia preferita, è quella indirizzata al figlio Christopher il 30 gennaio del 1945:

«Una storia deve essere raccontata, o non esiste alcuna storia. Eppure le storie più toccanti sono quelle che non vengono raccontate […], montagne viste in lontananza che non saranno mai scalate, alberi distanti […] che non saranno mai raggiunti. […] Sicuramente c’è stato un Eden su questa Terra infelice. Tutti lo cerchiamo, e lo intravediamo costantemente: la nostra stessa natura quando è al suo meglio, meno corrotta, più gentile e umana, è ancora intrisa del senso di “esilio”. Non lo riacquisteremo mai […]; possiamo riacquistare qualcosa di simile, ma su un piano più elevato”

 

John Ronald Reuel Tolkien
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